23 ottobre, 2009

M. O.

















1) Non c'è felicità senza stupidità.
2) L'ignoranza genera illusioni.
3) Le illusioni assopiscono.
4) Sto seriamente pensando di voler diventare stupido.
5) Potrei esserci già riuscito.
6) Muro.
8) Sorriso.

Occupato.

E tu? Mi vuoi salvare o vuoi essere salvata?
Sembra una frase da film
di quelle che non vogliono dire un cazzo,
col sorriso amaro di chi non sa che dire
ma non ha bisogno di farlo.
Era il massimo della risposta, nei tuoi saluti
nei tuoi "ancora un bacio", "ancora, stringimi",
mentre facevamo l'amore nelle ore più strane
quando le carezze scrosciavano tra le lenzuola
e tutto si è perdeva come polvere in volo.
Nessuna speranza senza futuro.
E non qualcuno a cui importasse.
Solo i tuoi sorrisi, solo le tue mani,
sospiri, sospiro, respirare
e il giorno nato con te al fianco
Nessun futuro senza speranza.
Ma certe volte non m'importa sapere.
Lasciati andare, non sprecare fiato.
Vattene, ho bisogno di star solo.

03 ottobre, 2009

Ci vuol Pazienza.

"La musica ha una grande funzione per me. Il mio prossimo progetto è un giornalino con un disco incorporato. Con la musica ci vivo benissimo, sento tre radio, una l'ho sentita tutto l'inverno e conosco a memoria tutte le pubblicità, ricanto le canzoni piu ignobili, perche sono una fogna. Riesco ad apprezzare anche Diana Ross se in quel momento ha grinta e se il disco funziona nei minimi particolari, perché li fanno benissimo questi americani e riesci a goderne anche la spettacolarità. Mi piace il cantante dei Police, Mark Knoff perché ha un carisma prodigioso, oppure Freddy Mercury che è il cantante dei Queen, che fanno uno spettacolo di grande rock, perche rock è tutto. In questo momento vorrei essere la corda tesa di una chitarra rock, essere la corda che vibra in un grande concerto. Vorrei essere la chitarra di Keith Richards.. NO! Vorrei essere Sid Vicious, che vado dicendo!" [Andrea Pazienza] <--- ...che non fa mai male.

07 giugno, 2009

Scatti in piccole dosi

Sono in macchina. Il tramondo scende lento dietro l'orizzonte arrossato, le nuvole arrossate e gli alberi scossi dal libeccio.
Ogni volta che ti chiamo, ogni volta che ti sento, ogni volta che ti vedo, ogni fottuta volta è un pugno nello stomaco. Ne ho bisogno, ma so che mi farà male. Meglio non chiamare. Ma è troppo che ne faccio a meno, è una necessità impellente, mentre al solo pensiero le tempie mi si bagnano di minuscole gocce di sudore freddo. No, non ti chiamo. Lascio il cellulare sul sedile accanto, poi lo prendo, di scatto, faccio il numero. E' un bisogno morboso di farmi del male, una necessità sterile ed autolesionista di sapere che ci sei, che c'è ancora qualcosa, qualcuno in grado di ritorcermi le budella, sensazioni di attimi, sempre quelli, ripetuti all'infinito. Cicli circadiani autolesionisti, per stare bene, per non pensare un po', per guardarti ancora una volta fissa negli occhi, occhi così grandi che ci sto già affogando. Sensazioni sconnesse, un mondo a colori, risate e la botta di paranoia subito dopo. Il respiro pesante dopo che esco. Si, so che andrà così. E ci sarà qualcosa di inconfessabile dentro e mi stupirò ancora che ci sia ancora qualcosa che mi stupisca e di sapere che sei ancora tu, che è ancora un tuo gesto che ancora non avevo notato, che è sempre il tuo sorriso timido e sincero quando ti ritrai, vederti che ridi.
Costante consapevolezza di sapere cosa ritrovare, ricordare le strade, seguire, andare oltre, ritornare. E' una corona di filo spinato per sentirmi un attimo re, sebbene sappia che sarò spodestato. Certe volte, per certi attimi, ne vale ancora la pena.
E io lo so dove sei, davvero, conosco il tuo profumo. Conosco la tua luce e so abbracciare il tuo buio. Perché l'ho fatto e tu lo sai che potrei.
Io lo so l'effetto che fai, con te vado sul sicuro, adrenalina. Sali nelle vene, poi il cervello comincia a pulsare, i pensieri si fanno leggeri, connessioni neuronali sconnesse, prima che la testa esploda un po'. Poi sto bene.
So dove sei, so dove vorrei essere, vorrei perdermi, vorrei essere in te. E non posso. No, non devo. Tu devi rimanere la mia certezza, io ho così terribilmente bisogno di te. E' per questo che alla fine cedo.
Squilla.
Tanto lo sapevi che l'avrei fatto. Ti sentivo nell'aria e per te era lo stesso. Lo sapevi che avrei acconsentito questa volta, come al solito, a quel sottile richiamo della tua mente. La mia è devozione.
Il nostro è un gioco perverso, il mondo sa e noi taciamo. Oh si, davvero, se ci pensi bene, lo sai anche tu. La descrizione è così completa, il quadro è perfetto, ma io sono un artistoide senza fama nè brama di successo e non ho il coraggio di togliere il lenzuolo alla mia opera migliore. E' una cosa mia poterti guardare, il modo con cui ti ammiro, con cui scruto sicuro la tua bellezza. E un po' maniacale.
Rispondi.
Dove sei? E per poco non prendo in piedo l'auto davanti a me, con il rumore della frenata, gli pneumatici a strisciare l'asfalto. E poi corro. Corro a raggiungere la mia certezza, il mio piccolo mondo in una palla di vetro, prima che svanisca, prima che passi l'effetto. Non puoi lasciarmi, perché sarebbe dura fare certi passi. E non ho nemmeno bisogno d'averti. Ma devo sapere che ci sei, è terribilmente importante sapere che esisti, che stai bene, soprattutto che stai bene. No, non sto piangendo, stai tranquilla.
Ho la mia maschera da benaugurante, il mio sorriso e ho il tuo. E le lacrime scompaiono e io sto bene e sono felice. E ti vedo e ci sei e mi scorri dentro e mi pulsi in testa.
Con te sono sempre impacciato, come se ti vedessi per la prima volta e mi perdessi subito. Del resto e stato così, ma ovviamente tu questo non lo sai. Sudo freddo, rido nevrastenico, scherzo senza cinismo, mi muovo, fumo, sono irrequieto. Mi alzo quando ti alzi, non per educazione, ma per un gesto inconsulto, forse per non farti andare. Guardo i tuoi occhi con il trucco nero, le tue labbra sottili, il sorriso da pubblicità, la vita sottile. E il tuo fare distratto e la tua testa dura. Il mondo tutto tuo, nella tua testa, il tuo pensare sempre al meglio e tanto poi chi se ne frega. Certe volte mi spiazzi. Come quando mi abbracciasti. Tu non abbracci mai. E ti sta bene anche il pigiama che ti fa così sexy.
E vorrei, ma non posso. E potrei, ma non devo. E dovrei, ma non riesco. Eppure darei tutto per pur di sapere che ci sei. E ti sorrido. E ridiamo. E mi basta. E mi serve vederti così.
E sei droga e sogno.

27 maggio, 2009

Ballata insonne per primogenite lontane (si, non c'ho un cazzo da fare... a parte dormire, cosa che non riesco a fare).

Aveva le unghie affilate e smaltate,
Charlotte era fresca di fine estate.
Guardava in cagnesco ed era inquietante,
passava leggera, con orma pesante.
Era diversa, era bambina,
anima salva, un po' bambolina,
piangeva depressa, o forse incazzata,
una smorfia, un gestaccio, carta voltata.
Animo allegro, un calcio alle palle,
occhio alla lama e attento alle spalle.
Arroganza superba, orgoglio severo:
aveva la ragazza un pellicciotto nero.
La scruta la gente tutta impettita,
una birra ed un rutto e s'è divertita.
Troppo cervello, lingua tagliente
dolce fanciulla, un po' delinquente.
Guardala bene, bella anche tanto
se la conosci, te ne fai vanto.
Sempre sincera, sorella agguerrita,
causa o rimedio di qualche ferita.
Sempre presente per chi s'avvicina,
poi qualche volta diventa piccina.
Se pensa malizia, alza il sopracciglio,
sempre astuta, sa usare il suo piglio.
Amante distratta e poi un sorriso
ti manda all'inferno ed al paradiso.
La gente la guarda un po' circospetta,
lei non è preda, è furia che aspetta.



N.B.: L'immagine qui presente, tagliata per motivi di pubblicazione, si deve a colui che una volta si firmò in chat con la vignetta sotto raffigurata. Ringraziandolo per ovvi motivi, prima o poi vedrete l'opera completa (forse).

21 maggio, 2009

Quando qualcosa manca.

"- Non si può scrivere la propria morte.
E' lo psichiatra che mi ha detto così, e sono d'accordo con lui perché, quando si è morti, non si può scrivere. Ma, dentro di me, penso di poter scrivere qualunque cosa, anche se è impossibile e anche se non è vera.
In genere m'accontento di scrivere nella testa. E' più facile. Nella testa tutto si srotola senza difficoltà. Ma una volta scritti, i pensieri si trasformano, si deformano, e tutto diventa falso. A causa delle parole.
Dovunque mi trovi, scrivo. Scrivo mentre vado verso il bus, scrivo nel bus, nello spogliatoio degli uomini, davanti al mio macchinario.
Il guaio è che io non scrivo ciò che dovrei scrivere, scrivo qualunque cosa, cose che nessuno può comprendere e che nemmeno io comprendo. La sera, quando ricopio quello che ho scritto nella mia testa durante la giornata, mi domando perché ho scritto tutto ciò. Per chi, e per quale ragione?

Lo psichiatra mi domanda:
- Chi è Line?
- Line è un personaggio inventato. Non esiste.
- La tigre, il pianoforte, gli uccelli?
- Incubi, nient'altro.
- Lei ha cercato di morire per colpa dei suoi incubi?
- Se avessi veramente cercato di morire, sarei già morto. Volevo solo riposarmi."


Tratto da "Ieri" di Agota Kristof.

14 marzo, 2009

Sciocchezze

Un giorno ho incontrai un uomo. Era un bell'uomo, ben vestito, bel sorriso. Sicuro, serio, affidabile. E le mani! Si, le sue mani erano perfette e non tremavano! Si può capire molto dalle mani delle persone. Aveva un viso così sereno, sembrava giovane, di quell'età indefinita dei denti belli da pubblicità.
Si sedette accanto a me, su una panchina scomoda del parco, sotto uno di quei pioppi grandi. Questo sotto cui mi siedo io è un po' meno grande. Mi piace perché è un po' mal ridotto. Qualche mese fa è stato preso da un fulmine e una parte è bruciata.
L'uomo mi chiese il nome. Poi disse:
"io sono il bene. Se seguirai le mie leggi sarai felice. Lo so, sono tante - aggiunse sospirando, mentre tirava fuori un grosso libro che sembrava uscito dal nulla e da chissà quale tempo, tanto sembrava antico - ma se le seguirai, se le seguirai tutte, fino in fondo... beh, amico mio, sarai soddisfatto".
Presi il libro. L'uomo sorriso ancora, si tocco il cappello in gesto di saluto intanto che s'alzava e si incamminava nel viale pavimentato del parco, prima di scomparire.

Cominciai a malapena a sfogliare il libro, quando da dove se n'era andato il primo, si avvicinò un altro uomo, con gli occhi immensi, occhi che sembravano avere pianto tanto e visto il mondo, occhi che sembravano aver conosciuto la gioia e l'amarezza. Aveva le rughe intorno a quegli occhi ed anche intorno alla bocca. La barba era vecchia di qualche giorno. Sembrava... vissuto. Oh si, era uno di quegli attori da scena da film di guerra in cui l'eroe è lui e lo riconosci perché ha vissuto ed è vissuto!
Mi guardò negli occhi e senza nemmeno salutarmi cominiciò a parlare del tempo, della primavera che stava per arrivare e del freddo che ancora si faceva troppo sentire. Sorrise di una gioia forse un po' amara, ma una gioia vera, una gioia che non faceva parte di me e che non gl'importava condividere, sebbene lo stesse facendo senza pensarci. Non mi chiede nemmeno il nome e ad un certo punto disse:
"Brav'uomo, io sono il male. Bevo, rutto, sono maleducato e dico sempre quello che penso, anche quando è sconveniente, soprattutto quando è sconveniete. Il male, che possa lavorare alle tue spalle o venirti dritto come un treno, è sempre brutto come un pugno in faccia. Con me la vita dura meno. Io non ho leggi e me ne sbatto della felicità tua e forse pure della mia, c'è troppo da vedere e da usare a questo mondo per perdere il tempo a chiedersi cosa sia la felicità".
Non so perchè ma il suo discorso mi sembrò abbastanza... democratico.
"Io voglio essere libero. Pago le conseguenze di quello che faccio o prima o poi le pagherò, ad ogni modo... vivo".
Poi si mise a ridere, mi strinse la mano e se ne andò ridendo e saltellando tra l'erba, nel prato ingiallito dall'inverno e umido di pioggia. Prese a piovere così, una pioggia sottile, mentre lui apriva le braccia al cielo e si faceva scorrere la pioggia addosso, prima di sparire dietro un cespuglio.

22 febbraio, 2009

Contralti...

XXX : "... peccato che la natura non ti abbia dato nessun talento musicale..."
durk: "Ma che cazzo dici? Io scorreggio in chiave di DO"

15 febbraio, 2009

Departures

Cosa ci sarà mai da guardare nel fondo di un bicchiere? Lo alzo, bevo l'ultimo sorso di succo di frutta e ci guardo dentro, mentre il liquido lo macchia. E guardo oltre, guardo attraverso il vetro e quello della vetrata dell'aeroporto e, dopo, quello della finestra di casa mia. Incontrerò le stesse stelle che guarderai tu? Uso il bicchiere come un cannocchiale. Quale sarà l'aereo? Non ha troppa importanza. Conto il tempo.

Mi chiedo cosa stai pensando. Mi importa sempre quello che pensi, anche quando un po' ti odio, anche quando dici stronzate. Il tuo mistero è nel convincere il mondo che puoi andare avanti senza un bottone e spassartela lo stesso sui tappeti rossi.

Charlotte avrà ripiegato il suo pellicciotto nero in uno scatolone o in una valigia. Non lo so nemmeno. L'avrà piegato con cura, non troppa, e poi gettato un po' così, alla rinfusa, tra i vestiti e la collezione di scarpe, perché è nel suo stile. L'ha messo da parte per serate più mondane, tra le lacrime delle certezze che si mischiano a quelle dei dubbi. E alle nostre. I singhiozzi pesanti bisogna mandarli giù, a ravvivare il bruciore di stomaco e il groppo in gola.

Charlotte qualche volta prende le occasioni al volo.
Charlotte qualchevolta è così, denti stretti e pugni serrati anche coi lacrimoni agli occhi, mentre cresce ancora un po'.
E' una tosta, Charlotte, spesso, non solo qualche volta. Lei piange solo quando lo decide lei.
Noi siamo gente col cervello vuoto e in frantumi da un pezzo, siamo quelli che non sanno dire bene: "mi mancherai". No, non nei modi giusti almeno. Non che serva a molto. E poi lei sa. Sa di essere importante, che le occasioni si prendono con un volo all'ultimo respiro di emozione. Sa che il pittore innamorato aspetterà, sa che Pindaro ne parlerà ancora nei suoi racconti e che Agata la terrà stretta anche se sarà lontana.
Piangiamo un po' tutti senza bagnare di una sola lacrima il mondo di chi ci guarda. Sorridiamo, tra le battute al vetriolo che non fanno male, ma che ci potremmo risparmiare, ma è una valvola di sfogo.

Charlotte è un po' il collante. Adesso è il tempo dell'ognuno per sè, perché sappiamo di averne bisogno, anche se non ci farà bene.
O forse ci scalderemo l'un l'altro nell'attesa, un po' ci spero.
Aspetteremo la farfalla. La ragazza col pellicciotto nero ha risvoltato il capo e ne farà seta d'oriente. Un guscio perfetto di seta viva, mentre i pensieri volano lenti, più in alto di lei. I mesi passeranno in fretta. Ci saranno scossoni. Sarà dura. Passerà, saremo forti... ce la metteremo tutta almeno. Charlotte salderà i palmi e conquisterà nuovi orizzonti. Lei ce la fa, noi ci arrangeremo, vedrai ragazza, perciò sorridi.

Pindaro un po' piange, sai ragazza? Anche Pindaro qualchevolta piange. Quel qualchevolta ci lega un po'. Ma non voglio che tu sappia che Pindaro qualche volta piange, sai? Pindaro vorrebbe essere un duro coi denti stretti e i pugni serrati. Ma tu hai il tuo pellicciotto da combattimento e la matita nera per truccarti gli occhi, io al massimo vesto sorrisi e sogni. Prima o poi, prima o poi... intanto pensaci tu, tu che ce l'hai le armi giuste, tu che non avrai tutte le risposte, ma sai fare le domande con la faccia da culo.
Pindaro l'onirico si sa adattare. Ho imparato. Proverò a non distruggere tutto, a tenerti tutto in caldo.
Mi mancherai.

Ma le ore volano e tu già guadagni tempo e un po' lo perdi, quel tempo che - in fondo lo sappiamo per davvero - va sempre troppo di fretta e ogni tanto non ci da tregua o un respiro per gustarci le cose.
Insegui il giorno come una notte dolce.
Aspettiamo tutti la farfalla. Torna presto.