30 aprile, 2010

Bah...

Blog in fase di ristrutturazione. Tutto questo porterà a qualcosa?

26 aprile, 2010

Gusci in gelatina

Si guarda allo specchio senza riflettere, di passaggio. Non senza malizia, ma senza lo stesso fascino. Se le guardi, Lei e quella dello specchio, sono identiche, entrambe scocciate. Si guardano il giusto, non di più. Sono tutte e due innamorate di se stesse e l'una dell'altra, ovviamente. Solo che se le vedi, lì, allo specchio, nessuna delle due riflette più l'altra. Sembrano due amanti di lunga data che si conoscono così bene e non si conoscono più, che non si divertono più insieme, che si guardano, ma davvero mai più del necessario. Sono innamorate di loro stesse e loro stesse sono la stessa persona. E quella persona non capisce bene se stessa, forse non si piace più.
La vedi che esce dall'ascensore ogni mattina, ogni mattina un minuto prima. Perché è nello specchio dell'ascensore che si è guardata. In quello del bagno si è specchiata, vi si è truccata davanti, si è pettinata, ha controllato i dettagli. Non quelli troppo futili. Lei è una donna e lo sa.
Nell'ascensore ci è entrata già pronta per la dura giornata, o quasi. Un'ultima sistemata alla gonna o alla giacca. Una prova di sorriso. Occhi negli occhi, non uno sguardo di più. Del resto non è poi così tanto il tempo che ci mette l'ascensore. Quando va bene c'è un piccolo difetto da aggiustare e così poco tempo! Quell'ultimo ritocco con la valigetta tenuta tra le caviglie o la borsetta incastonata in un gomito.
Quando quei secondi scorrono lenti, invece, si guarda un attimo. Tutto ok. Guarda dall'altro lato: lo scorrere dei piani, le proprie scarpe. Poi le occhiaie. Uno sbadiglio. Cerca le cuffiette del suo i-pod nella borsetta, le districa. Oggi un pezzo veloce... rabbioso, grintoso. E poi, magari, invece, quella canzone lì. Quant'è lungo, alle volte, il tempo in ascensore.
Rimane lì a fissarsi, occhi negli occhi, nel torpore rabbioso di un lunedì mattina. Digrigna i denti in un gesto di cui non si rende più conto.

Charlotte è uscita dal proprio guscio. Ha rotto il bozzolo nero e si è trasformata in donna, con quella voglia enorme di dimostrarlo, di far vedere ancora una volta quant'è forte, quanto è in gamba, che lei può. E lei può, non c'è dubbio. Chi ne avrebbe a guardarla bene? Bella è sempre bella. Risoluta è risoluta. Eppure a ben guardarla... sarà il taglio più severo della bocca, più cucito. Sarà quella smania di lotta, sarà l'istinto da predatrice. Sarà quel sentirsi sempre troppo preda.
Poi la guardi bene è quasi riesci a intrevedere che cos'è che ha perso. Però la devi guardare bene, con la giusta luce. La devi "capire", la devi "interpretare". E allora vedi che ha perso quel suo strepitoso potere che le dava quella luce particolare agli occhi. Era qualcosa che la rendeva più umana. Sapeva spendersi di più per gli altri.
Ora ha meno tempo. Forse non è nemmeno una questione di tempo. E' una questione di qualità.
Il pellicciotto nero è dismesso e anche quando è indossato sembra un po' troppo sgualcito, come quel trucco nero che non è mai significato nulla, ma che ora significa un po' meno. E non è che non vada capita, compresa. Il problema è che il tempo in quell'ascensore è troppo lento. E per capire una persona un po' ce ne vuole.
I pensieri in testa scorrono alla rinfusa tra un vorrei, un potrei, un amerò. Certe volte manca l'aria in ascensore, anche in quelli con lo specchio. Si sospira affonnosamente. Non c'è tempo per i compromessi, c'è solo la voglia enorme di essere eccelsi. E si cade giù in se stessi quando ci si scotta col sole.
Poca voglia di capire il significato delle cose. Ogni tanto viene voglia di rompere gli specchi. Poi si pensa ai sette anni di sfiga e si sorride amaramente di fronte ad una realtà poco inebriante.
3° piano. 2° piano. Quasi arrivata. I sapori di tavole straniere sono pronte ad accoglierla all'uscio della strada. Chi non ha tempo, comincia a cucinare presto.
1° piano. Arrivo. Esce di fretta, quella fretta un po' incostante col sapore ancora dell'inverno, alla ricerca di nuove primavere, rincorrendo le vecchie senza un senso ben preciso. Musica nelle orecchie. Strano come non sia quella che ci si aspetta, quella musica smagrita e invecchiata.
Il portone sbatte alle sue spalle, i tacchi battono sul lasticato. Le macchine passano e i clacson innervosicono. Qualcuno parla ad alta voce.
Tutto si guarda con occhi ovattati, con poca voglia di parlare e col desiderio di fuggire via per poter dire di essere capace, di essere incazzata per un motivo ben preciso, per sentire mancanze, per provare qualcosa.