08 ottobre, 2010

Pensiero astruso

Immaginate il casino se Gesù Cristo avesse sofferto del complesso di Edipo?

14 agosto, 2010

Primo principio della calma

Se pensi che il mondo ce l'abbia con te, probabilmente il problema non è il mondo... o, nel caso, potrebbe avere i suoi buoni motivi [Me medesimo].

PS: Perché c'è chi scriverebbe "suca" (magari col piscio) anche sulla sabbia di un giardino zen.

24 giugno, 2010

Considerazioni mondiali

Ma Bossi non aveva detto che ce la pagava lui la partita? Ad ogni modo, se qualche slovacco vuole venire a giocare in Italia, per come ci han fatto il culo... non direi che sarebbe un pessimo acquisto. Probabilmente andrebbe all'Inter, mi pare che di slovacchi non ne hanno. Si, manco Italiani, ma si sa che in quella squadra non vanno di moda.
No, comunque, forse ha detto che ce la compravamo noi... Si vede proprio che non ci stanno soldi in 'sto "bel" paese, eh?! Certo che 'sti politicanti stan sempre a chiedere denaro ai contribuienti ITALIANI! Oddio, sempre meglio comprare una partita che pagare lo stipendio di un politicante da due soldi che sta in parlamento e non si sente nemmeno della "Nazione".
Ha anche detto che ci sono 10 milioni di persone che si batteranno per la "Padania". La cosa non mi stupisce: la ma mamma dei coglioni è sempre incinta... e li sforna sempre a coppie. Se si considera l'ignoranza di chi "crede" nella Padania, probabilmente, non ci si può aspettare molto da quella capra di suo figlio. Imparassero un po' di storia!

Guardiamo il lato positivo, almeno la Francia ha fatto addirittura più schifo di noi!

PS: si, ho sempre detto che non avrei parlato di politica sul blog... ma perché... gente come Bossi è politica?

03 giugno, 2010

Circa dio. (Blasfemia)

La non esistenza di dio è provata dalla mancata morte di Enrico Papi (e simili) e di chiunque partecipi ai suoi programmi.

Non capisco l'omofonia della chiesa. Voglio dire, il loro dio si è fatto uomo.

Non capisco perché ci si stupisca della pedofilia della chiesa. Cioè... credono in un "Padre" che si è fatto "Figlio".

La verginità madonnale è un concetto che proprio non riesco a comprendere. No, sul serio, ha dato un figlio a dio, è stata unta dallo spirito santo e la notizia è stata data dall'arcangelo Gabriele che, probabilmente, è più che altro un guardone. E tutto questo per essere assunta in cielo! A me pare che l'unico sant'uomo è quel cornuto di Giuseppe. Bah... la castità cristiana!

15 maggio, 2010

Hurt

Nessun senso

Potrei cedere all'ansia
Prendere una decisione parimenti pesante
Senza rimpianto, come se pensassi
Che tutto stia andando a rotoli
Esattamente come deve andare
Finché non si giunge al limite
Tutto è complicato e inverosimile
Non avrebbe senso stringersi
Nelle proprie spalle di sabbia
Ad arginare il mondo
Con la sua violenza
Dietro lo specchio non c'è nulla
Solo davanti si vede la figura
La musica suona una vecchia canzone
I ricordi scorrono come un fiume in piena
Amico mio, tutto dovrebbe essere diverso
Ma davvero non dovrebbe importare
Agitiamo gli stracci, voltandoci avanti
C'è una strana strada tutta contorta
Non è impossibile la risalita
Non c'è un perché, è una decisione illogica
Andiamo avanti
E' l'unica ragione
Lottare per vivere
Vivere per dare
Non ci sono rimpianti
Senza pensare.

12 maggio, 2010

A ruota libera

20/06/2009 (pubblicando postumi d'incoscienza)

Così ci fingiamo amanti stanotte e posso guardarti sorridere, come non ti ho guardata mai, senza farlo di nascosto. La bella ragazza coi capelli rossi legge un libro d'amore, al calar del sole, sulle nuvole accese che sembrano zucchero da luna park. Senti anche il basso ed il piano. Scrivi le lacrime e lasciami uscire perché ho bisogno di urlare e buttarmi giù dal ponte, dove i barboni dormono, s'ubriacano e non pensano più. L'acqua è stagnante, ma non galleggerò perché mi sento pesante. Senti anche tu la musica scorrere leggera. La ragazza coi capelli rossi è corsa via, prende un autobus dove i cani non possono salire, un vecchio ubriaco dorme vicino al ciglio della ferrovia, dove ci sono le capanne di rifiuti, ma una chitarra suona ancora piano. Le ragazze con le minigonne bisogna pagarle e dio non l'ha mai negato.

Le parole sconnesse possono formare frasi infinite che non vanno assolutamente da nessuna parte.

Sognando di me. Atto II

Parcheggio l'auto.
Non sei ancora arrivato.
Quante volte abbiamo parlato su quella panchina davanti a me per ore e ore, con le chiacchiere fino a tirare su il sole da dietro quella vecchia scuola. Far mattino è una delle nostre specialità.
Una cosa che mi ricordo sempre è quando, alcune mattine, un soffio di tramontana ci portava l'odore del pane. Non so perché, è un bell'odore da associare a due vecchi ragazzi che ridono con gli occhi gonfi e rossi di sonno, scavati dalle occhiaie e che continuano a ridere ancora o a raccontarsi storie vissute e un po' troppo depresse. Non che facesse differenza. L'odore del pane è l'odore del pane.
Scendo. Lo sportello sbatte alle mie spalle e il click della chiusura centralizzata m'insegue mentre mi allontano di un paio di passi.
Accendo una sigaretta comprata al distributore automatico della stazione di benzina all'ingresso del paese. Mi ha fregato venti centesimi. Bestemmiamo contro il proprietario? L'abbiamo fatto spesso. Sorrido.
Quanti anni sono che ci conosciamo? Non li ho contati, non ne ho avuto il tempo, non credevo ce ne fosse bisogno. Ora vorrei scrivere un numero però. Così, per sapere dove comincia e dove può finire un'amicizia, per porre dei limiti, dei paletti, per non osare oltre.
La realtà è che sono troppo orgoglioso per ammettere di aver superato quel perimetro. La realtà è che hai cagato fuori dal vaso anche tu e io sono venuto a calpestare quella merda, non a ripulire il tutto. Stavolta no, non so se ce la faccio. Non posso. Ho cercato di spiegarti il perché. E' sempre stato semplice salvarci le chiappe a vicenda. Siamo stati dei buoni amici. I panni sporchi li lavavamo in casa.
Vorrei capire che cazzo ti passa per la testa.
Una volta mi era più semplice. Iniziavi una frase e io la continuavo come tu sapevi che l'avrei portata avanti, rubandoti le parole di bocca. Poi la finivi tu, nel modo in cui io pensavo fosse giusto. Esattamente come pensavi tu. Era questione di qualità. E giù a ridere.
Vorrei saperti dire cosa non va in me e in te, amico mio, ma non sapremmo ascoltarci o come finire le frasi, dove andare a parare coi predicati.
Certe volte non capisco. E' che non ascolto. Non ti ascolti. Siamo due cinici bastardi e sorrido scalciando una pietra lontano. E' uno di quei sassolini rotondi che formano lo spazio per le giostre, da quando hanno rifetto questa piazza. E' deserta anche stasera. Solo un paio di cani che si rincorrono. Li chiamo, ma non vengono più. Questo sogno è un po' triste.
Parcheggi quasi di fronte alla pizzeria. Non so perché, non che non ci fossero posti liberi, giusto un paio di macchine. Parcheggi la Clio a una certa distanza forse. Fai il giro per chiudere, non hai ancora aggiustato la serratura e non credo tu abbia intenzione di farlo. Mi chiedo come tu sia riuscito a metterlo in moto quel caro vecchio macinino.
L'aria è più densa del solito, non credi anche tu?
Rimaniamo in po' fermi, senza guardarci, a crogiolarci in quest'atmosfera da momento già vissuto.
Poi ti avvicini con quell'aria un po' non curante, sforzandoti di non ridere, come fanno i bambini che sanno di aver commeesso una marachella per la quale non verranno sgridati, magari neanche scoperti. "Che faccia da culo!", mi viene da pensare, poi vorrei abbracciarti, ma il mio è un sogno triste.
Ti dondoli un attimo davanti a me, ci guardiamo per salutarci. Tu ridacchi tra te e te. E io faccio un sorriso striminzito, perché ancora so cosa stai pensando, o almeno ho qualche ipotesi. Stai facendo lo stesso.
Ti siedi.
I cani si avvicinano di qualche metro, ci girano intorno, vanno via.
Vorrei dirti che sei uno stronzo. Vorrei dirti: "oh, compa', certe volte sei proprio una merda". E poi riderci su. Ma io lo so che sto sognando, perché sono in quella parte di sogno tra la veglia e il dormire. Quella parte in cui i sogni puoi decidere come vanno a finire. E io lo so come va a finire e non ho voglia di parlartene. Diresti che esagero un po'. Avresti ragione. Penso troppo, certe volte col cuore, certe volte m'impunto. Certe volte fai le guerre inutili solo per allontanare la gente. Poi ti domandi come tu stia facendo a diventare un cuore freddo, io ricerco un modo per non prenderti a calci in pieno volto.
Sono incazzato, spengo la sveglia e mi tiro su. Sospiro. Non va tutto troppo bene.

Sognando di me. Atto I

Il bar è a quattro passi. Dieci minuti a piedi. Siederemo fuori per poter fumare. Fumi sigarette ora? Non più quelle rullate col tabacco? Te lo puoi permettere, suppongo. Boh! Hai tagliato i capelli. Questo l'ho notato quando ti ho vista. Balli sempre un po' strano, sai? Si, anche io, credo. Non credo che siamo molto portati. Ahahah, magari si. Sei dall'altra parte della strada, di spalle. Magliettina nera, coprispalle. Hai freddo? E' così un bel pomeriggio di sole. Occhiali scuri, di quelli enormi, fumi ancora tabacco. Stai chiudendo una sigaretta. L'accendi.
Ti guardo un po' prima di incontrarti. Mi sudano le mani come se fosse un appuntamento. Il sole ti batte dietro. Allungherebbe la tua ombra sottile e ossuta all'infinito se potesse. Labbra rosse e caschetto nero, appoggiata alla ringhiera del marciapiede, la borsa appesa alla meglio, con non curanza, come un maschio. Boccata di fumo che si perde tra i palazzi e i clacson. Guardi un ragazzo col cane. Non ti frega del ragazzo, si vede. Ti piace quel piccolo cagnolino biondo, dal pelo cortissimo e lo sguardo stupido. Lo so perché tra poco lo noterò anch'io. Boccata di sigaretta, guardi l'ora.
«Ciao sorella!»
«Ciao fratello, come stai?»
«Bene. E tu?»
«Bene».
Il discorso si potrebbe chiudere qui. Di sicuro sarebbe un buon inizio, un inizio sicuro, uno che sappiamo già.
Novità? Si, avremmo così tante cose da dirci e così poco tempo. Così spesso finiamo per parlare di cose delle quali, a pensarci bene, non ce ne frega poi tanto.
E' che non parliamo da un po'. Invece adesso ci sediamo qui, al bar, finalmente.
«Cosa prendi?»
«Non lo so... un thé freddo».
«A te non piace il thé freddo».
«Già».
E' che vorrei un caffè in ghiaccio, ma qui non lo sanno fare. Rullo una sigaretta che finisce troppo in fretta col sapere di nulla. La spengo schiacciandola con forza col pollice nel posacere, finché non esala il suo ultimo sbuffo di fumo e la brace viva non si spegne.
Non ti sto nemmeno ascoltando. I rumori della strada stravolgono tutto: gli autobus, le macchine, la gente. Corrono quasi tutti. Riesco a sentire il suono della lampadina che si accende sul semaforo quando cambia colore, la guardo, poi ti guardo, annuisco. Se così lontana. Non ti sento quasi più, stai diventando un brusio. Vorrei afferrarti la mano, stringerla, ma so che si spezzerebbe. Sto diventando pazzo.
Avrei voglia di parlarti anch'io, di farmi capire. Mi limito a sorriderti, annuire, dire qualcosa ogni tanto. Avrei una gran voglia di litigare. Ma non ha tanto senso.
È che io non ho che vorrei tanto farmi capire. Vorrei sentirti, vedere i tuoi occhi lama accendersi e trafiggermi per rincarare la dose e dirti come sto.
Il problema è che mi sto svegliando. Ho riconosciuto il tram sotto casa e la luce del sole sta entrando nella stanza, mi scalda il corpo.
E mi viene voglia di non respirare aria viziata, ma l'aria fuori da questa camera.
Ciao Charlotte, al prossimo sogno.

30 aprile, 2010

Bah...

Blog in fase di ristrutturazione. Tutto questo porterà a qualcosa?

26 aprile, 2010

Gusci in gelatina

Si guarda allo specchio senza riflettere, di passaggio. Non senza malizia, ma senza lo stesso fascino. Se le guardi, Lei e quella dello specchio, sono identiche, entrambe scocciate. Si guardano il giusto, non di più. Sono tutte e due innamorate di se stesse e l'una dell'altra, ovviamente. Solo che se le vedi, lì, allo specchio, nessuna delle due riflette più l'altra. Sembrano due amanti di lunga data che si conoscono così bene e non si conoscono più, che non si divertono più insieme, che si guardano, ma davvero mai più del necessario. Sono innamorate di loro stesse e loro stesse sono la stessa persona. E quella persona non capisce bene se stessa, forse non si piace più.
La vedi che esce dall'ascensore ogni mattina, ogni mattina un minuto prima. Perché è nello specchio dell'ascensore che si è guardata. In quello del bagno si è specchiata, vi si è truccata davanti, si è pettinata, ha controllato i dettagli. Non quelli troppo futili. Lei è una donna e lo sa.
Nell'ascensore ci è entrata già pronta per la dura giornata, o quasi. Un'ultima sistemata alla gonna o alla giacca. Una prova di sorriso. Occhi negli occhi, non uno sguardo di più. Del resto non è poi così tanto il tempo che ci mette l'ascensore. Quando va bene c'è un piccolo difetto da aggiustare e così poco tempo! Quell'ultimo ritocco con la valigetta tenuta tra le caviglie o la borsetta incastonata in un gomito.
Quando quei secondi scorrono lenti, invece, si guarda un attimo. Tutto ok. Guarda dall'altro lato: lo scorrere dei piani, le proprie scarpe. Poi le occhiaie. Uno sbadiglio. Cerca le cuffiette del suo i-pod nella borsetta, le districa. Oggi un pezzo veloce... rabbioso, grintoso. E poi, magari, invece, quella canzone lì. Quant'è lungo, alle volte, il tempo in ascensore.
Rimane lì a fissarsi, occhi negli occhi, nel torpore rabbioso di un lunedì mattina. Digrigna i denti in un gesto di cui non si rende più conto.

Charlotte è uscita dal proprio guscio. Ha rotto il bozzolo nero e si è trasformata in donna, con quella voglia enorme di dimostrarlo, di far vedere ancora una volta quant'è forte, quanto è in gamba, che lei può. E lei può, non c'è dubbio. Chi ne avrebbe a guardarla bene? Bella è sempre bella. Risoluta è risoluta. Eppure a ben guardarla... sarà il taglio più severo della bocca, più cucito. Sarà quella smania di lotta, sarà l'istinto da predatrice. Sarà quel sentirsi sempre troppo preda.
Poi la guardi bene è quasi riesci a intrevedere che cos'è che ha perso. Però la devi guardare bene, con la giusta luce. La devi "capire", la devi "interpretare". E allora vedi che ha perso quel suo strepitoso potere che le dava quella luce particolare agli occhi. Era qualcosa che la rendeva più umana. Sapeva spendersi di più per gli altri.
Ora ha meno tempo. Forse non è nemmeno una questione di tempo. E' una questione di qualità.
Il pellicciotto nero è dismesso e anche quando è indossato sembra un po' troppo sgualcito, come quel trucco nero che non è mai significato nulla, ma che ora significa un po' meno. E non è che non vada capita, compresa. Il problema è che il tempo in quell'ascensore è troppo lento. E per capire una persona un po' ce ne vuole.
I pensieri in testa scorrono alla rinfusa tra un vorrei, un potrei, un amerò. Certe volte manca l'aria in ascensore, anche in quelli con lo specchio. Si sospira affonnosamente. Non c'è tempo per i compromessi, c'è solo la voglia enorme di essere eccelsi. E si cade giù in se stessi quando ci si scotta col sole.
Poca voglia di capire il significato delle cose. Ogni tanto viene voglia di rompere gli specchi. Poi si pensa ai sette anni di sfiga e si sorride amaramente di fronte ad una realtà poco inebriante.
3° piano. 2° piano. Quasi arrivata. I sapori di tavole straniere sono pronte ad accoglierla all'uscio della strada. Chi non ha tempo, comincia a cucinare presto.
1° piano. Arrivo. Esce di fretta, quella fretta un po' incostante col sapore ancora dell'inverno, alla ricerca di nuove primavere, rincorrendo le vecchie senza un senso ben preciso. Musica nelle orecchie. Strano come non sia quella che ci si aspetta, quella musica smagrita e invecchiata.
Il portone sbatte alle sue spalle, i tacchi battono sul lasticato. Le macchine passano e i clacson innervosicono. Qualcuno parla ad alta voce.
Tutto si guarda con occhi ovattati, con poca voglia di parlare e col desiderio di fuggire via per poter dire di essere capace, di essere incazzata per un motivo ben preciso, per sentire mancanze, per provare qualcosa.

16 marzo, 2010

Riflessioni su scritti incompiuti

"Quando un tuo personaggio immaginario muore non succede nulla di straordinario: al massimo si buttano giù due lacrime, qualche riga e si reagisce come quando muore qualcuno di reale... a seconda di quanto è caro." [Me medesimo]