29 giugno, 2007

Celebro-leso

Chiuso in me stesso. Voglio esiliarmi dal mondo, da te, da tutto.
A palla musica pesante che mi spacca le orecchie, che mi spacca il cervello.

Rabbia. Voglio la mia rabbia. Dov'è la mia rabbia? Dov'è il sentimento di cui vado più fiero?
Lo sto reprimendo. Non va bene quando reprimo la mia rabbia. La mia rabbia mi serve, mi serve viva e mi serve subito.

Ho bisogno di te. Dove sei quando ho bisogno di te? Non ti accorgi che posso aver bisogno di te?

Tu non mi conosci, ma mi sto chiedendo se tu ti sia mai sforzata di farlo. Mi chiedo tante cose. E mi manchi: una sensazione che non mi piace, mi ricorda altro che non mi piace, altro a cui non vorrei pensare.

Dovrei imparare a stare zitto. Dovrei imparare a parlare. Dovresti imparare a stare zitta. Dovresti imparare a parlare.

Sento il vuoto. Sento questo baratro enorme in mezzo a noi, si sta allargando e mangia il suolo sotto i miei piedi. Tu dall'altro lato però non piangi. Come riempiremo questa stupida voragine? Come posso raggiungerti?

Ssh! Facciamo silenzio. Sarebbe il caso di non parlare. Sarebbe il caso di chiarirci con uno sguardo tenue.

Celebrale

...
E nel silenzio trovo la mia stabilità
Analizzo ogni mio pensiero
Nascondo in questo modo la mia fragilità
A volte per difendermi seleziono le parole da usare
...

24 giugno, 2007

Canzone in loop (Titolo del post dedicato a Kei-chan... sa lui perchè!)



















Mad World - Tears For Fears
(preferita nella cover fatta da Gary Jules e Micheal Andrews per il film Donnie Darko)


All around me are familiar faces
Worn out places, worn out faces
Bright and early for their daily races
Going nowhere, going nowhere
Their tears are filling up their glasses
No expression, no expression
Hide my head I want to drown my sorrow
No tomorrow, no tomorrow

And I find it kinda funny
I find it kinda sad
The dreams in which I'm dying
Are the best I've ever had
I find it hard to tell you
I find it hard to take
When people run in circles
It's a very, very
mad world... mad world

Children waiting for the day they feel good
Happy Birthday, Happy Birthday
Made to feel the way that every child should
Sit and listen, sit and listen
Went to school and I was very nervous
No one knew me, no one knew me
Hello teacher tell me what's my lesson
Look right through me, look right through me

And I find it kinda funny
I find it kinda sad
The dreams in which I'm dying
Are the best I've ever had
I find it hard to tell you
I find it hard to take
When people run in circles
It's a very, very
mad world... mad world

Enlarge your world
Mad world


Pazzo mondo

Tutto intorno a me ci sono facce familiari
Posti logori, facce stremate
Sveglio e brillante per le cose quotidiane
Vagando senza meta, vagando senza meta
Le loro lacrime stanno riempiendo i loro bicchieri
Nessuna espressione, nessuna espressione
Nascondi la mia testa, voglio annegare il mio dolore

E lo trovo un po' buffo
E lo trovo un po' triste
I sogni in cui sto morendo
Sono i migliori che abbia mai fatto
E lo trovo difficile da dirti
E lo trovo difficile da sopportare
Quando le persone girano intorno
E' davvero davvero
Un pazzo mondo... un pazzo mondo

I bambini aspettano il giorno in cui si sentiranno bene
Buon compleanno, buon compleanno
Fatto per sentire il modo in cui ogni bambino dovrebbe
Siedi e ascolta, siedi e ascolta
Andai a scuola ed ero molto nervoso
Nessuno mi conosceva, nessuno mi conosceva
Salve professore, dimmi qual è la mia lezione
Guarda bene dentro me, guarda bene dentro me

E lo trovo un po' buffo
E lo trovo un po' triste
I sogni i cui sto morendo
Sono i migliori che abbia mai fatto
E lo trovo difficile da dirti
E lo trovo difficile da sopportare
Quando le persone girano intorno
E' davvero davvero
Un pazzo mondo... un pazzo mondo

Allarga il tuo mondo
Pazzo mondo



PS: canzone dedicatami, canzone che adoro di un film che adoro. Canzone che mi descrive. Voglia di piangere...

22 giugno, 2007

Samael Flauros














Lunedì 3 settembre. Fa un caldo terribile quest'estate. E' stata una stagione afosa. Sento la maglietta appiccicata addosso.

Alfredo torna in cella. Ha passato il pomeriggio all'aperto, nel parco di questo accogliente centro per l'eutanasia mentale. "Eutanasia mentale" è un termine che ha coniato lui stesso. Mi è rimasto così impresso perchè furono le prime parole che mi disse: «benvenuto nel nostro perfetto centro di eutanasia mentale». Ed ha ragione. Qui si muore lentamente. Si muore dentro, ma è una morte dolce, perennemente drogata. E' come un carcere di massima sicurezza, solo che le guardie usano le siringhe e le pillole al posto della pistola e dei manganelli. Non hanno la divisa, ma candidi camici bianchi. Qui tutto è bianco, qui tutto è luminoso. La luce non si spegne mai, nemmeno di notte. La notte c'è un bagliore opaco, ma non il buio. Il buio è vietato ai "pazzi". Qui, del resto, non si dorme: alla fine si associa il sonno alle urla e ai lamenti.
Vi starete chiedendo perchè io sia qui. Vi starete chiedendo chi sono. Forse non vi starete chiedendo nulla perchè non ve ne frega un cazzo.
Il mio nome è Simone Petrini, sono... ero un agente di polizia, stavo nella "omicidi".
Oggi vi sto per raccontare la verità. Molti di voi non mi crederanno. Morirò entro tre giorni. Non so se morirò prima della scadenza, è possibile. Se solo potessi tornare indietro...
Alfredo è qui dentro perchè ha sparato a 36 persone uccidendone 27. E' entrato di punto in bianco in un ristorante e si è messo a sparare. Quando l'hanno trovato era seduto con il corpo pieno di sangue, sotto shock. Non ha mai ricordato nulla di quel momento. Tutto quello che so me l'ha raccontato lui... è quello che gli hanno detto i medici, gli investigatori e via dicendo. Eppure a vederlo sembra una persona tranquilla. E' normale. Ora ha 54 anni. Ha la faccia da impiegato di banca. Era esattamente quello che faceva prima di entrare qui. E' sempre ossequioso ed educato, sempre gentile. Si incupisce solo quando gli si fa tornare alla mente il motivo per cui è chiuso qui dentro, a quel punto cerca di ricordare, spesso piange. Di notte si agita, nelle poche ore durante le quali riesce a dormire.
Quando entra nella nostra "camera", mi guarda. Cerca di abbozzare un sorriso vedendo il mio volto. «Come è andata?» mi chiede.
«Non voglio parlarne».
«Nemmeno questo ti ha creduto?»
«No, mi ha creduto».
Mi osserva incuriosito, perplesso, come se non riuscisse a capire. Effettivamente non può capire. Lo guardo un attimo, prima di girarmi sul letto e dargli le spalle. Ha un'aria affranta nella sua camicia a maniche corte e i suoi pantaloncini di cotone. Ha la barba di due giorni. Non gli si addice. E' sempre un tipo così pulito ed ordinato. La luce che entra dalla finestra lo prende in pieno volto. Lui ha gli occhi socchiusi. Solo ora mi accorgo di come stia invecchiando. Sembra quasi malato con la sua pelle olivastra. Ha le rughe.

Oggi è venuto a trovarmi un nuovo dottore. Si chiama S. Flauros. Il signor S. Flauros mi sta attendendo nel salottino delle visite. Oggi è stato prenotato solo per me e per lui, tutto il pomeriggio. E dentro c'è un silenzio quasi spettrale. Si potrebbe sentire uno spillo cadere. Quando arrivo, lui sta guardando fuori dalla finestra, nel cortile. Nel giardino ci sono gli altri pazzi, i miei nuovi amici, i miei nuovi compagni. La maggior parte di loro è sempre sedata, i più sono accompagnati dalle guardie in camice bianco. Alfredo sarà sulla sua solita panchina a leggere. E' l'unico momento in cui esce. Fuma e legge. Martin (un camice bianco) l'ha preso in simpatia rimanendo impressionato dalla cultura di questo "pazzo" e gli porta un libro ogni due settimane. Prima gliene portava uno al mese, ma non bastava.
Un paio di camici bianchi mi scortano fino alla saletta e staranno fuori a fare la guardia.
Questo dottore deve essere importante. Ha tutta l'aria della persona importante. Indossa uno di quei vestiti da sartoria, fatti su misura. Gli calza perfettamente per essere una roba da negozio o, peggio, da grandi magazzini. E' vestito di grigio antracite e camicia nera, niente cravatta, ma oggi fa caldo. Ha degli occhiali scuri da sole, sta già fumando e ha già aperto una bottiglietta d'acqua, ora posata accanto ad un bicchiere di plastica sul tavolino.
Quando arrivo, si gira e sorride, aspetta che i miei (o i suoi) angeli custodi chiudano la porta alle loro spalle, aspetta di essere solo con me, fa un paio di passi nella mia direzione, si presenta.
«Il signor Petrini suppongo, io sono il dottor Flauros». Ha una voce calda e suadente e un tono accomodante, calmo, mentre continua cautamente a sorridere e misura i gesti. Mi sta studiando.
Annuisco, lo guardo, lo scruto, ha qualcosa di familiare che non riesco a decifrare. Ma è solo un altro fottuto strizzacervelli a cui hanno dato il mio caso, finchè la mia pratica non verrà archiviata e mi lasceranno in pace e si scorderanno di me.
Mi siedo senza dargli la mano.
«Tutto bene?» chiede, ma non rispondo «La prego, lei è un ex agente, sa come vanno queste cose, io sono qui per aiutarla come meglio posso, mi faccia solo fare il mio lavoro. Lei non è una persona stupida».
«Non sono nemmeno un pazzo, nè un bugiardo, eppure sono qui dentro. E lei è solo l'ennesimo medico che mi crederà un folle non appena ascolterà la storia che ho già raccontato a chi è venuto prima di lei... avrà letto, no?»
«Ho letto, ma ho comunque bisogno che lei mi racconti la sua storia».

Ho ricevuto la chiamata nella notte tra venerdì 17 e sabato 18 agosto. Sono ancora mezzo addormentato. L'unica cosa che ho capito è stata che dovevo sbrigarmi. Il caldo infernale: mi ero rigirato nel letto tutto il tempo, ero appena riuscito ad addormentarmi. La chiamata è arrivata dall'ufficio, dalla centrale. Spari all'orfanotrofio. Mi chiamano direttamente sul cellulare. Era la voce di un uomo, ma non ricordo se mi ha dato informazioni su di lui. Ha detto di recarmi subito sul luogo.
Sono legato a quel posto. Sono cresciuto in quel posto. Ci passo... ci passavo molto del mio tempo libero ...quando ero libero. Sono orfano. Sono cresciuto lì. Sono tra i pochi che, uscito da quel posto, non si è allontanato, forse l'unico. Entrato in polizia ho fatto di tutto per tornare da queste parti, per restituire alla gente di questo posto il bene che mi ha dato.
Ora sto in città per lavoro. Ho... avevo un piccolo monolocale, ma ho sempre voluto prendere un villetta qui sulle colline, di quelle con un po' di terra per farci crescere qualcosa. Avevo dei progetti. Uscivo anche con Alice. Non l'ho più sentita. Ogni tanto mi chiedo se mi pensa. Spero di no. Spero stia bene, che sia tranquilla.
L'orfanotrofio sta tra la città e il paese, subito sotto la chiesa di San Michele, quel vecchio rudere in campagna. Non ci avrei messo più di venti minuti.
Esco fuori dal centro abitato e d'un tratto comincia a piovere. Ricordo che rimasi stupito. Il cielo si era chiuso di colpo, pieno di nuvole, tuonava. Pioveva a dirotto. E ricordo il freddo. La temperatura era scesa all'improvviso. E io guidavo. La strada sembrava così lunga. Non era importante che la visibilità fosse bassa, conoscevo quelle curve a memoria. Eppure non arrivavo mai. Poi ecco la grossa costruzione dell'orfanotrofio. Era un ex convento. E' enorme visto da fuori. Ma è un buon posto per i ragazzi. E ci viene chiunque dal paese a farci volontariato, a dare una mano. Fermo la macchina nello spiazzo, il cancello è aperto. Quando apro la portiera mi rendo conto che ha smesso di piovere. Guardo in alto e il cielo è limpido, pieno di stelle. Sembra tutto così... fermo. Non si sente alcun rumore. L'aria è stagnante e umida e il freddo pizzica sulla pelle. Sembra pieno inverno. Eppure non ci faccio troppo caso. Eppure è tutto così inquietante. Eppure non so nemmeno perchè sono qui, dovrei aspettare che arrivino gli altri. Dovrebbero già essere qui. Forse la pioggia...
E sto già camminando. Il silenzio, non si sente altro che questo assordante silenzio. E il buio. Non si vede altro che buio. Tutto sembra così vecchio e stantio. Non sembra esserci la luce elettrica. Sono a metà del vialone che porta all'ingresso. Un fruscio. Mi guardo intorno, ma non vedo nulla. Da dove arriva? Guardo in aria e sopra l'orfanotrofio, sopra l'intero posto c'è qualcosa che si muove, sono veloci, si muovono intorno e urlano, urlano il silenzio, loro sono il silenzio. Devo entrare, devo entrare, devo nascondermi. Ma dentro è pieno di quello stesso silenzio. Quelle ombre che si muovono in aria. La tromba delle scale ne è piena, fino all'ultimo piano. Non mi stanno toccando. Non mi vogliono. Dentro sembra tutto molto più grande, terribilmente enorme e vuoto. Conosco questo posto come le mie tasche. Conoscono ogni nascondiglio che usavo da bambino quando avevo gli incubi. Padre Giulio era l'unico che riusciva a trovarmi. Padre Giulio è un brav'uomo, mi ha cresciuto. E' il prete della parrocchia di San Michele. Ormai ha più di settant'anni, sebbene non sembra toccato dal tempo. Non si sentono i risolini dei bambini che anche di notte popolano questo luogo, non si sente nulla se non un urlo silenzioso che avvolge tutto, come le ombre, passano attraverso i muri, mi passano davanti, ma non mi toccano, non mi sfiorano. Sono ombre nere e lucenti. Riempiono l'aria e urlano. Le sento scorrere nelle pareti, sul pavimento sotto di me, sopra la mia testa. Sono ovunque, ovunque urlano, è questo posto stesso che urla. Chiede pietà.
Sono al primo piano. Il dormitorio è al secondo. Qui c'è la biblioteca, una sala per i lavori d'arte e un'enorme salone per lo studio che utilizzano anche per le feste. Questo posto potrebbe ospitare 150-200 persone. I bambini, oggi, sono 72. Li conoscono tutti. Età compresa tra i 5 e i 18 anni. Al piano terra, ci sono la cucina, la mensa, un paio di magazzini, un'infermeria. E' qui, al primo piano che comincio a trovarli. Cadaveri, sono tutti morti. Le pareti sono sporche di sangue e del bitume nero che lasciano le ombre quando le attraversano.
Sono morti, tutti morti. Ci sono i corpi di questi ragazzini stesi per terra in pozze di sangue. I loro visi sono sconvolti. Al piano di sopra ci sono gli adulti, le infermiere, qualche volontario e il resto dei bambini. Non si è salvato nessuno. Nessuno. Esamino stanza per stanza, con la pistola in mano. Sono tutti morti e sono già freddi, sono morti da ore.
Non c'è nessuno. C'è solo la morte e le ombre, c'è solo il silenzio.
Invece no. C'è un fragore di vetri in frantumi, c'è un urlo. E' in fondo al corridoio. E' la stanza di Padre Giulio. Corro. Le ombre ora sono agitate. Inciampo nel cadavere di un bambino e mi ritrovo steso sopra un altro corpo esanime. Padre Giulio è seduto alla sua scrivania, di spalle, con la faccia che guarda fuori. Le ombre lo colpiscono, lo attraversano. Si vendicano.
«Padre...»
«Sei arrivato Simone»
«Cosa... cosa è...»
Padre Giulio si volta. I suoi occhi. Non posso scordare i suoi occhi. I suoi occhi pieni di sangue, il suo volto indurito, quegli occhi luminosi di morte, urla e disperazione, solitudine e rabbia.
«Ho sparato agli angeli...»
«E'... è stato lei? Non può... perchè? No...»
«Ho sparato agli angeli... serve un sacrificio»
«Cosa dice? Il sacrificio per cosa?»
«E' tardi...» Alza una pistola e la punta contro di me. Gli sparo. Gli sparo una volta, poi due, poi tre. E poi il suo corpo prende fuoco, lui sta bruciando, davanti a me, da solo. E io sto piangendo mentre il cuore batte forte, fino in gola. E tutto sta prendendo fuoco. Devo correre, devo correre. Devo scappare.
Non ricordo altro.
Secondo il rapporto della polizia la pistola che ha sparato a quei bambini e a tutti gli altri è la mia. Non c'è traccia di alcuna altra arma da fuoco. In totale, nel rogo, sono bruciati 107 corpi. 107 persone sono morte. Mi hanno ritrovato nel parco dell'orfanotrofio. La mia auto a casa.
Sono stato io. Eppure non sono stato io. No, non è colpa mia. E' tutto un incubo. Quegli occhi. Gli occhi rabbiosi di Padre Giulio, nei miei occhi, dentro di me, mi scrutavano, mi tagliavano l'anima, la sezionavano. Ovviamente nessuno ha creduto che non fossi stato io.

«Lei crede in ciò che dice?» mi chiede il dottor Flauros.
«Io... non sono stato io...»
«Secondo gli inquirenti è stata una strage. Un gesto assurdo di follia pura. Lei è fortunato ad essere in questa struttura e non sulla sedia elettrica. In un altro Stato, sarebbe bruciato anche lei».
«Vada al diavolo».
Sorride in un ghigno. «Sa una cosa signor Petrini? Io le credo».
Lo guardo. Lo guardo e non riesco a muovermi. Tutt'intorno a me c'è lo stesso odore di morte, di carne bruciata, di silenzio, di ombre.
Toglie gli occhiali e ha gli stessi occhi. Dottor Samael Flauros.
«Morirai Simone. Tu hai rovinato i miei piani, tu hai aiutato un uomo a morire troppo in fretta. Morirai entro 3 giorni».
Non posso muovermi, non posso. Dalla giacca tira fuori una pistola.
Ride.
«Sai cos'è questa? La prova che sei innocente. Ho sete di morte. Ho sete della tua paura. Eppure non tremi. Padre Giulio mi ha tenuto buono per anni. Ma io ho sete. Ho sete di urla e disperazione. Voi umani siete così stupidi. Avete una terribile paura della morte. Eppure create armi sempre più potenti. Costruite pistole. Oggi le mie stragi sono all'ordine del giorno, sono più semplici. E date la colpa a noi Dei. Ma siete voi a sparare. Nemmeno tu vuoi ammettere la tua colpa. Eppure è la tua pistola ad aver ucciso».
Mi spara.

Al mio risveglio mi ritrovo nella nostra stanza. Devono avermi sedato perchè mi gira la testa. Alfredo sta rientrando dalla sua lettura. Quando entra nella nostra "camera", mi guarda. Cerca di abbozzare un sorriso vedendo il mio volto.
«Come è andata?» mi chiede.
«Non voglio parlarne».
«Nemmeno questo ti ha creduto?»
«No, mi ha creduto».
«Sei stato in isolamento per due giorni».
Non capisce perchè rido. Rido a crepapelle. Mi sono stati dati tre giorni di vita e io ne ho passati due in isolamento. Mi giro di spalle cercando di trattenere le risate e le lacrime, poi il proiettile attraversa il mio cuore.
Sento Alfredo che chiama aiuto, lo sento che piange. Sento la sua paura davanti alla morte. Sento il suo disperato orrore quando mi vede sputare sangue mentre rido. E rido. E rido. E muoio... una dolce eutanasia. Nessuno capirà mai come il proiettile sia finito lì. Alfredo mi riterrà fortunato. «Quelli che muoiono» dice «non fanno in tempo a ricordare».

15 giugno, 2007

In memoria di una geisha

Ho comprato questa nuova cosa. E' il regalo perfetto che potevo fare a me stesso e al mondo. Ci ho messo un po'. Ci vuole pratica per quest'affare. Ci vuole rabbia, ma bene incanalata, meditazione, un obiettivo. Qualcuno penserà che sono pazzo. Qualcuno piangerà. Ai più non fregherà molto.
Tiro a lucido la mia vita, per una volta non mi tiro indietro, voglio che sia perfetta, voglio essere freddo, devo farlo.
Tra poco tutto sarà finito. Devo solo aspettare, concentrarmi. Poi tutto andrà a posto, poi tutto sarà un gran casino, ma devo fare quel che devo fare.
Eccola. Lei sta tornando. Arriva con uno che ora frequenta da un po'. Odio questi stronzi impomatati con la loro macchina di lusso, con i loro vestiti firmati. Scommetto che anche le sue mutande sono griffate. Ha una mercedes ultimo modello, la capotte abbassata nel caldo umido quasi estivo di questa notte metropolitana. E lo stronzo porta gli occhiali da sole neri. Si vergogna di essere guardato in faccia per bene? Perfettamente abbronzato da strati e strati di crema abbronzante e lettini sotto le lampade... dopo il massaggio, s'intende.
Lei è bella. E' davvero bella. Trentadue anni esatti, ma ne dimostra venti. Vestiti attillati, scollati, le sue forme perfette bene in vista. Il seno sodo farebbe invidia a molte ragazzine che ancora non conoscono la vita come Lei. Sembra una barbie appena uscita dalla scatola, non fosse per il rossetto slabbrato.
Lui è vestito gessato scuro, una camicia candida e bianca e una cravatta improbabile. Come minimo, sotto è anche depilato. E' palestrato, ma non troppo. Sta attento alla linea perchè l'immagine da alto dirigente va lustrata... come i culi che ha dovuto leccare per fottere il posto che era di suo padre che, forse, se l'era guadagnato allo stesso modo. Oppure ha solo unto il giro con i soldi alle persone giuste. Molto probabilmente ha fregato il posto a qualcuno che lo meritava, più in gamba di lui.
Forse, peggio, lo stronzo è uno di quelli che è uscito dalla merda, uno che si è fatto il culo, uno che ora sulla merda ci sputa. Ha una famiglia. Una bella moglie. Ha dei figli, magari un maschio e una femmina. E ha una casa lussuosa e un appartamento più piccolo dove scopa con Lei.
Crede di avere tutto, crede di poter avere tutto, crede di essere il migliore, crede di essere un giovane dio. Lui, la promessa dell'economia. Lui ha un portafoglio gonfio di denaro, lui che venderebbe sua madre per averne ancora, per avere un altro zero sul conto in banca. Lui che ora può fare quello che gli pare, senza troppa gavetta... perchè lui è in gamba, perchè lui crede di esserlo e fa sedute e sedute dall'analista per tenere alta la sua autostima.
Lei lo bacia su una guancia, lui Le mette in mano una busta. Un regalo. Lei fa finta per mezzo secondo di non accettare, poi mette tutto nella borsetta con le paillette, mentre scende piano, sinuosa con il suo corpo felino stretto nel vestitino nero e corto e le scarpe col tacco. E' elegante e perfetta, mentre si finge ancora maliziosa, ancora eccitata dall'amplesso che ha venduto all'uomo. Fa ancora la civetta, fa la smorfiosa. Si sa vendere. E' così bella. I capelli biondi, in ricci ampi e perfetti che le ricadono sulle spalle. Ci ha messo parecchio per prepararsi. Questo stronzo deve pagare bene.
La mia ansia sale. Sento il cuore che accelerà ad ogni passo che Lei fa mentre si allontana dall'auto e si avvia verso il portoncino del suo palazzo, della sua casa, del suo appartamento piccolo e angusto, con la muffa sui muri, ma ben pulito. Lei ci tiene che sia sempre tutto lucido. Vuole andare via da lì, vuole essere più di quello che è. Non era questa la vita che avrebbe voluto.
Anche questa sera si fa un po' schifo. A me no, a me non fa schifo. Io L'ammiro. Io amo tutto quello che fa.
Sta richiudendo il portone alle sue spalle. Ora sta abbassando lo sguardo, ora sta per piangere, ora trattiene le lacrime a forza e si toglie le scarpe col tacco alto dai piedi doloranti. Mentre sale le scale fino al pianerottolo di casa si toglie gli orecchini e il resto della bigiotteria da bancarella. Apre la porta e ritrova se stessa, quella squallida se stessa che fa la puttana per sbarcare il lunario, per pagare l'affitto, per mantenere suo figlio, per pagare la bolletta della luce, per sua figlia più piccola, la "figlia di chiunque", che ha i suoi stessi capelli biondi e il suo sorriso.
Lei ha appena chiuso la porta. Lui ha messo in moto. Si ferma come ogni volta per sistemare l'auto. Per togliere il residuo di un'altra donna da nascondere alla madre dei suoi figli. Odio questo stronzo, odio quelli come lui, odio tutto ciò che rappresenta, odio chiunque pensi solo a sè stesso, odio chiunque tratti Lei come una puttana.
Sono qui, ad aspettarti, in questo vicolo buio. Ti guardo da giorni, misero stronzo.
Quando esco e vengo vicino alla tua macchina alzi lo sguardo, non sai chi sono, non sai perchè ti parlo, hai l'impulso di darmi dei soldi e scappare via, di trattarmi come un tossico, un ubriaco, ma io non voglio i tuoi soldi. Ti chiamo stronzo. Tu mi dici che sono un ragazzino e di sparire prima che ti esca da quelle labbra con cui L'hai baciata la frase "ora ti do una lezione, ora ti faccio vedere io". Non aspetto altro.
Calci e pugni. Mi spingi. Mi prendi a sberle e sento un tuo pugno dritto sul muso. Tu, stronzo, senti meno i miei. Io non voglio ancora farti male, voglio che cammini, voglio che mi segui, vieni... vieni... da bravo... nella lotta mi stai seguendo... così ancora un po', dove c'è il mio nuovo giocattolo. Entri nel mio vicolo buio. Entri qui, dove l'ho appoggiata.Ti spingo con tutta la forza che ho, devi cadere a terra. Ed ecco che lo fai. E ora ti rialzi. E io ho in mano la mia vendetta, la stringo, la tiro fuori dal fodero nero. E tu la vedi scintillare, vorresti scappare, ma è tardi perchè sei a terra. E ora stai tremando perchè hai capito che sei qui per morire. Ma puoi ancora lottare, io voglio lottare, voglio sentirti desiderare la vita e perderla. Voglio sentire la tua paura di morire e tu vedi i miei occhi e nei miei occhi ora vedi quelli di Lei, quegli occhi in cui ti perdevi nel gioco del sesso, in un amore venduto. E stai cominciando a capire, cominci a ricomporre il puzzle, frammenti perfetti di odio e rabbia. Perchè tu? E' stato un caso, sei stato solo l'ultima goccia. Sei stato l'ultima lacrima che Lei ha versato verso se stessa, per me, per mia sorella. Sei stato mio padre, uno dei tanti che hanno fatto come lui. E ora morirai. E lui, forse, morirà con te. Ti alzi, indietreggi. Un pistola sarebbe stata troppo veloce, invece questa lama ti taglierà piano, la sentirai dentro di te, poco alla volta, centimetro per centimetro dentro la tua carne calda, dentro la tua pelle abbronzata. Stai pregando? Stai chiedendo perdono. Ma non posso, lo capisci? Potresti provare ad ammazzarmi, a scaraventarti su di me, ma hai capito che finora ho solo giocato come il gatto con il topo. Sei un insetto inutile caduto nella tela di un ragno affamato di morte. Sei un misero insetto inutile, morto per una troia... per il figlio di quella troia, per lavare i peccati di tutti quelli come te, finchè non ne verrà un altro, se ce ne sarà un altro.
Vuoi vivere o vuoi morire in fretta? No no, tu sei un tipo tosto. Tu vuoi vivere. E' per questo che soffrirai. Provi a gettarti verso di me, ma al primo scatto vieni colpito. La lama è tagliente ed affilata come un rasoio, un rasoio splendente che taglia anche l'aria con un suono acuto, mentre affonda nella tua carne. Mi dai del pazzo e ti colpisco con un calcio in pieno volto. Sei pieno di sangue, ma ci riprovi a vivere e ancora un altro taglio e un altro in pieno petto, mentre va a pezzi tutto come la tua camicia costosa, mentre ti pisci addosso, mentre senti la vita che se ne sta andando mentre crepi dissanguato. Poi ecco senti freddo d'un tratto. Senti il freddo del metallo che ti passa da parte a parte dentro il tuo addomme e ti aggrappi alla lama e mi guardi senza fiato chiedendo perchè, supplicando pietà. Sto sorridendo.
Senti la lama che esce. Ora vorresti morire. Non vuoi più vivere. Non vuoi più lottare. I tuoi soldi non sono bastati, ma finora te li sei goduti. Non hai pensato a nessuno se non a te stesso. Hai la paura nello sguardo, mentre anche i tuoi occhi lacrimano sangue. Stai pensando a te anche adesso. Non pensi a chi stai lasciando, non pensi a come faranno, a cosa diranno. Sai solo ripetere di non dirlo a tua moglie mentre mastichi il tuo sangue che ti affoga la gola.
Guardo gli schizzi del tuo plasma rosso sui miei vestiti, sento l'odore della tua vita perduta, sento un flusso caldo che scivola lungo la lama, lungo la mano, lungo il mio braccio, un lieve rivolo del tuo sangue che già ristagna al suolo.
Un altro colpo e senti la lama che ti affonda ancora nella carne, mentre nemmeno urli. Senti le tue budella contercersi e stai soffrendo nel mio gioco sadico e rabbioso. Un altro fendente di taglio. La lama ti squarcia la gola nei tuoi ultimi istanti. Poi eccola entrarti nel cranio. E il tuo ultimo pensiero sarà che è assurdo che entri nella tua testa come un coltello caldo nel burro. E sorriderai prima d'aver capito che non hai più sorriso, che il tuo corpo è già lontano, che sei morto.
Brucia all'inferno e aspettami, ma mia madre non è una puttana.