30 aprile, 2007

Il peso delle parole

Se mi dici "addio", devi sapere cosa vuol dire.

28 aprile, 2007

...dal tempo perso

















Dedicato (Loredana Bertè)

Ai suonatori un po' sballati
ai balordi come me
a chi non sono mai piaciuto
a chi non ho incontrato
chissà mai perchè
ai dimenticati
ai playboy finiti
ed anche per me

A chi si guarda nello specchio
e da tempo non si vede più
a chi non ha uno specchio
e comunque non per questo
non ce la fa più
a chi ha lavorato
a chi è stato troppo solo
e va sempre più giù

A chi ha cercato la maniera
e non l'ha trovata mai
alla faccia che ho stasera
dedicato a chi ha paura
e a chi sta nei guai
dedicato ai cattivi
che poi così cattivi non sono mai

Per chi ti vuole una volta sola
e poi non ti cerca più
dedicato a chi capisce
quando il gioco finisce
e non si butta giù
ai miei pensieri
a come ero ieri
ed anche per me

E questo schifo di canzone
non può mica finire qui
ai miei pensieri
a com'ero ieri
ed anche per me

23 aprile, 2007

16 aprile, 2007

Don't stop














Due di notte. Il cellulare squilla. Nel buio, con gli occhi semichiusi, per metà addormentato, lo cerco. Lo trovo, guidato dalla luce che si è accesa mentre continua il motivetto della suoneria. Non guardo nemmeno il nome.
«Pronto?» rispondo con la voce rauca.
«Ciao Ale'». E' Daniele, parla con un filo di voce.
«Che cazzo vuoi?»
Silenzio. D'un tratto mi rendo conto che singhiozza. «Che è successo? Che cazzo hai combinato? We, stronzo, parla! Non mi chiami alle due di notte per farmi sentire le tue lacrime».
«Matteo... Matteo è in ospedale».
«Cristo!».
Matteo è il mio migliore amico. Matteo è un grande, sebbene i tanti problemi. Matteo si buca. Matteo non è un idiota. Matteo è uno stronzo. I miei occhi stanno piangendo prima ancora che io me ne renda conto, mentre riattacco dicendo «Arrivo». Cerco i miei vestiti.
Stasera non sono uscito. Forse, se ci fossi stato... Da quando sto con Nadia vedo di meno i miei amici di sempre, il mio vecchio gruppo, la mia "famiglia allargata". Nadia non li sopporta, dice che Matteo è un poco di buono, uno che "vive per farsi". Dice che Matteo non ha rispetto per nessuno. Una volta ne ho parlato con lui. Lui mi ha sorriso amaramente. «Nadia ha ragione, stai con lei, non te la lasciare scappare». Matteo alle donne ci pensa poco. Se ne fa una a sera in certi periodi, in altri non vuole nessuno attorno, al massimo gli amici più stretti. Dice che a "vent'anni non c'è già più abbastanza tempo per ridere", che "basta un soffio e si diventa grandi senza rendersene conto". Lurido figlio di puttana! La realtà è che, da quando Clara ti ha mollato, non te ne sei mai fatto una ragione.
Che cazzo ti passa per la testa quando ti butti in vena quella merda? Infilo i jeans.
Sembra strano, se non fosse stato per Teo (Matteo), quella merda me la sarei presa anch'io. Invece, ha sempre cercato di farmi stare lontano anche dalle sigarette. Mi dice di continuo: «questa merda ti ammazza», poi fa un tiro e la getta via. Però, io ho solo quel vizio: la mia vita, al momento, è tabacco e Nadia. Al massimo qualche canna ogni tanto. Mi infilo il maglione, al contrario, lo tolgo, lo rimetto dritto.
Mi chiedo cosa ti succederà ora. I tuoi adesso dovranno ammettere tutto, dovranno guardarti, addentrarsi nel vicolo buio dei tuoi occhi neri. Noi, "l'altra famiglia", non ce l'abbiamo fatta a starti dietro, a raccogliere i tuoi pezzi. Loro, tua madre e tuo padre, non ne hanno avuto il tempo. Tuo padre ha troppo lavoro da sbrigare. Però ti ha comprato un'auto nuova. Tua madre è troppo impegnata ad andare a letto con qualcun'altro. Da quando si sono separati, dici che non te ne frega più un cazzo, ma non è vero. Tu ci pensi. Ci pensi di continuo. Per te, non è importante chi c'è, ma chi non c'è. Come Clara. Metto le scarpe e prendo la vespa. Lo sai com'è quest'affare, ci vuole un po' perchè parta, ma sto arrivando, amico mio, arrivo, davvero. Io ci sono.
Non morire, brutto stronzo! Sto correndo.
La città è deserta, tiro la manopola dell'acceleratore al massimo. Devo fare presto. Quante volte ce ne siamo andati in giro su questo ferrovecchio? Questo macinino me l'hai regalato tu. Tu li puoi fare questi regali, eh Teo? Tu non hai problemi di soldi. E' per questo che dici che non sono importanti. No, non è vero. Per te davvero non contano un cazzo. Tuo padre non credeva certo di allevare un comunista coi rasta. Ora che dovrà ammettere che sei un tossico, cosa dirà?
Ti sto parlando nella testa, mi senti? Ti voglio bene Teo.
Matteo è più grande di me di tre anni. Mi ha cresciuto come un fratello minore. Mi ha insegnato a suonare la chitarra e a rullare una canna. Mi ha fatto leggere i libri migliori. Ha cercato di darmi una cultura cinematografica, ma io ho bisogno di rilassarmi davanti alla tv.
Non ti muovere di lì, sto correndo. Un altro paio di chilometri. Sto correndo.
Sto piangendo, sento la faccia bagnata e fredda. C'è un pioggerellina leggera. Le lacrime volano via e si perdono sull'asfalto alle mie spalle.

Non me ne sono accorto. Il semaforo era rosso. Non mi sono reso conto dell'incrocio. Frenare non è bastato. Ho preso in pieno l'auto che mi passava davanti. L'ambulanza è arrivata subito. Ad attendermi ci sei tu e gli amici che stanno vegliando su di te. Ci siamo tutti. Siamo qui. Io sono in pessime condizioni, ma ci sono. Mi stanno operando. Ho fatto un brutto volo. Daniele, che mi ha svegliato e Carla continuano a chiamarmi, ma non risponde nessuno. Il cellulare non si è rotto. Non sanno ancora nulla. Ad accorgersi che ci sono, ci hanno pensato Carlotta e Paolo. Hanno incontrato mia madre che piangeva, in un corridoio dell'ospedale.
Il resto è stata una banale ricostruzione dei fatti. Figlio di puttana, è colpa tua se sono qua, su questo lettino ghiacciato, con qualcuno che cerca di salvarmi la vita. No, non è vero, ti voglio bene, amico mio. Non voglio morire, ho paura, io non sono forte come te.
Ho freddo. Mi stanno aprendo tutto. Ti ho visto. Non sei così distante da me. Stringi i denti! Quando tutto questo sarà finito, rimetteremo a posto il bolide e ce la spasseremo. Sarà come i vecchi tempi. Andremo al mare, spezzeremo cuori di qualche ragazzina isterica che ascolta Avril Lavigne e pensa d'essere punk. Nadia si arrabbiera da morire. E' gelosa. E' gelosa anche di te. La amo. E' assurdo, ma voi avete molto in comune, nel vostro modo di pensare di muovervi. Parlate entrambi nel sonno. Dille che la amo. Diglielo.

Questa notte c'è un lutto nella nostra "famiglia". Tu ti risveglierai, smetterai di bucarti. Vorrai a tutti i costi esserci per il mio funerale. Avrai una vita da vivere. Ora sei tu che piangi. E i tuoi occhi sono enormi, rispetto al tuo corpo rinsecchito, gonfio solo di eroina e birra. I tuoi occhi sono due palle nere e dense. Sono occhi da squalo. Per te la vita è sempre stata una lotta.
Ti voglio bene amico mio. Davvero. Ora sono io il vuoto che ti porti dentro. Ma sono un vuoto pesante e sconvolgente, ti starò accanto, vivrò con te, nei tuoi ricordi, nelle tue chiacchiere. Sarà la mia voglia di vivere a tenerti a galla. Sei in debito.
Ora vivi, stronzo.

15 aprile, 2007

Tempi morti

E' passato un po' di tempo. Ora non ci sei. Stai dormendo in quel letto che qualche volta abbiamo condiviso. Un letto singolo, ad una sola piazza, con le lenzuola stropicciate, troppo piccolo per tutti e due. Non volevo mai restare, non sono a mio agio in un letto che non è il mio, ma poi la voglia di te è sempre stata troppa. Anche io dormirò, tra poco, nel mio letto che conosci, quello in cui dormivamo nudi, sudati, caldi. Anche il mio è singolo e in due ci si dorme male, ma con te era sempre stupendo.
Ho guardato le tue foto, quelle che ti ho scattato. Poi le nostre, insieme in stazione, ad una festa, tra i banchi dell'università, che abbiamo preso entrambi sotto gamba. E' stato un caso. In realtà cercavo altro. Forse, inconsciamente ti cerco ancora. Mi è venuta in mente la prof. di storia contemporanea che ci trattava come fossimo fidanzati. Ma io e te non stavamo insieme. Nella tua vita c'è sempre stato poco posto, qualche volta anche per te stessa. Stringersi non sempre è possibile.
Non ti rimproverò, sai già come la penso, mesi e mesi di litigi sono bastati, anche se ancora mi vengono le lacrime agli occhi se penso a tutti quei casini, accumulati anche in breve tempo; lo sapevamo che doveva finire là.
Lui lo raggiungevi ogni fine settimana, ogni fottuto fine settimana e io ci stavo di merda, e tu t'incazzavi quando ti chiamavo. Ma tu non hai mai capito. Non volevi sentire ragioni, lui... lui non lo "potevi" lasciare, non volevi. E' sempre stato tutto un gran casino, un casino a cui, ora, non mi va di pensare, un casino che sta violentando la mia mente. Tu sapevi e non volevi ammettere, io capivo e facevo finta di nulla. Mi dico ancora "è così che andata, punto e basta". E ti giuro che non ho rimpianti, rivivrei ogni momento allo stesso modo perchè è vero che certe cose non si possono cambiare e che vanno come vanno, che si lotti o meno. E io ho lottato, sono stato paziente. No, non mi sono ancora arreso, non ho gettato la spugna. Mi sento solo ridicolo. Non è colpa tua, è una cosa mia. Tu lo sai che ho la testa dura, lo sai che sono terribilmente orgoglioso. Sono uno che non ha più tanta voglia di lottare, nemmeno per quello per cui varrebbe la pena.
Non ho mai capito cosa diavolo ti piacesse di me. Di te... di te ho sempre adorato tutto. Beh, quasi. Ho odiato quel tuo cellulare che suonava sempre nel momento sbagliato, ma io i miei momenti me li sono presi, me li sono gustati, per quanto siano stati vittorie effimere. Ogni tanto ritorni, io reagisco duro, o almeno ci provo. Poi mi addolcisco perchè non riesco a resistere troppo a lungo. Tu vinci sempre con quel tuo sguardo triste, quasi come il mio. Penso sia l'unica cosa che abbiamo in comune.
Ci siamo conosciuti per caso. Io cercavo di fare amicizie nuove in questa città "straniera". Tu facevi lo stesso. Quando ci hanno presentati, mi sembrava di conoscerti. Io faccio sempre delle gran figuracce. Come potevo conoscere una persona in una città per me nuova? Quindi sono stato zitto. E, invece, vedi il caso? Sei stata tu a riconoscermi... "ma tu non sei l'ex ragazzo di...?"... "ehm, già". E poi ho fatto finta di non ricordarmi di te e abbiamo riso. E tu sei radiosa quando ridi. Tra tutte le persone che potevo incontrare, sei capitata proprio tu che conoscevi chi non avevo alcuna voglia di ricordare, almeno in quel periodo. Questione di sfortuna?
Poi, lo sai che ti ho sempre adorata. Il tuo modo di camminare, di ridere, di muoverti, il tuo accento un po' straniero, il trovare qualcuno che sapesse da dove venivo, di quello di cui parlavo.
"BellaNapoli" l'aveva capito praticamente subito e un po' mi sfotteva. Io facevo finta di nulla.
"E' solo un'amica", "ma che cazzo dici? Ha il ragazzo", "ma no, è impressione tua". Quante volte le ho dette queste cose agli amici, a me stesso.
Ho sempre negato tutto. Ho sempre detto che era tutta una stronzata, un film che gli altri si facevano in mente e che io rifiutavo di vivere. Quello del terzo incomodo è un ruolo che non mi si addice.
Passavamo insieme il nostro tempo, uscimmo con dei nostri amici. Al mio vecchio coinquilino piacevi (mi è sempre stato un po' sul cazzo), me n'ero accorto, cercò di stare accanto a te tutta la sera. Io me ne stavo in disparte, poi eri tu a farmi ridere. E io ti osservavo, bellissima, come sempre.
Poi in aula, una volta appoggiasti la testa sulla mia spalla. E io ti accarezzavo i capelli. Il professore di diritto era di una noia mortale e non si capiva bene cosa dicesse con quella sua voce bassa e rauca. Mi voltai a guardarti, tu mi guardavi. Ci osservavamo dritti negli occhi, in uno sguardo complice di qualche istante. Diventammo rossi, ci venne un po' da ridere. La scena si è ripetuta a Piazza Farnese, sotto l'ambasciata francese, ma non eravamo soli. E chi era con noi era di troppo. Ci interruppe mentre mi perdevo nei tuoi occhi, mentre i nostri visi si avvicinavano lenti, senza sfiorarsi. E poi a ridere.
Al parco, a piazza Vittorio Emanuele, mi accarezzavi la testa, mentre ero steso sulle tue gambe e facevo battute stupide, solo per vederti ridere. Mentre camminavamo verso una panchina ti presi la mano. "Dai, è una bella giornata, siamo soli tu ed io (ce ne andammo prima dalla lezione di Sociologia), facciamo finta di essere fidanzati", e ciondolavo il braccio insieme al tuo.
Poi tu eri appena tornata dal fine settimana col tuo ragazzo. Io ero a Termini col mio ex coinquilino, quello a cui piacevi. Avevo passato tutto il giorno in facoltà. Ero stanco, ma ti aspettavo. Poi, camminammo tutti e tre insieme, verso piazza della Repubblica. Ci fermammo alla fontana e aspettammo che il tizio si sentisse abbastanza di troppo perchè ci abbandonasse. Mentre lui tornava a casa, noi percorremmo a piedi tutta via Nazionale, fino a piazza Venezia. Io volevo darti la giacca, ma tu non volevi. Avevi paura che prendessi freddo io, che avevo sotto solo una camicia, almeno così dicesti.
Parlavamo tanto io e te. Cominciammo a camminare abbracciati. Il freddo dell'autunno già inoltrato si faceva sentire, quantomeno di sera. Ce ne andammo sulle panchine davanti al Campidoglio, quelle vecchie rovine romane.
Ti stringevo. Ti facevo i massaggi sul collo perchè eri stanca. Ti sei voltata. Non c'era nessuno ad interromperci, solo noi, soltanto noi nella penombra della sera, in una città nuova, dove nessuno sapeva nulla, dove a nessuno importava niente di noi. Tutto era perfetto, solo nostro, un fatto tra me e te, un segreto. Baciarti è sempre stato indescrivibile. E' sempre stato come perdersi in te. E' più ti baciavo, più mi ubriacavo della tua essenza, del tuo profumo, della tua pelle, dei tuoi occhi, dei tuoi capelli biondi. Mi scavavo una nicchia nella tua anima, almeno ci provavo.
Poi chiamò lui, io fumavo incazzato, geloso. Presi a baciarti sul collo, tu mi mettevi un dito sulla bocca per farmi stare zitto. Quante volte avresti ripetuto quel gesto nei giorni seguenti. Quanto avrei voluto urlare.
Il resto lo sappiamo noi, solo noi. Il nostro rincorrerci, il mio non trovarti. Ogni tanto ci baciamo, di sfuggita. Poi ti perdo. Poi mi manchi. Poi... prima o poi... basta...

14 aprile, 2007

Soluzione alternativa

Il mio ultimo post, "Passo in avanti...", ha letteralmente scioccato tanti lettori. Molta gente mi ha riferito di non riuscire a commentarlo, che certe cose è meglio dirle in faccia o, comunque, non dove tutti possono leggerle.
A me questo post piace. Per dirla tutta, non so nemmeno fino a che punto parli di suicidio, forse non ne parla proprio.
Invece, basta un accenno all'immagine tragica della propria morte e tutta l'autocritica che mi sono fatto, passa in secondo piano e la gente non la nota. Tutta la mia "filosofia da terza elementare" non conta nulla. Rimane davvero il "vuoto", tutto diventa sul serio "blaterare al vento". E' una buona cosa perchè era quello che volevo. E questo non è per dirmi che sono stato bravo, ma sono contento di essermi nascosto bene. Il mio scrivere su questo blog è un grande esperimento che, qualche volta, mi aiuta a mettere a fuoco le cose che mi porto dentro.
Eppure mi era sembrato d'essere stato abbastanza chiaro. Come un assassino che vuole essere scoperto, ho lasciato molti indizi. Il "vuoto" l'ho messo lì, c'è scritto. Pensavo si capisse che "il baratro infernale" è interno ed il "salto" è solo una ricerca di se stessi, magari velata sotto un "rito" estremo e macabro, simile a quello del suicida. Guardarsi dentro può fare molto male e, talvolta, è difficile dire le cose apertamente, almeno per me. Sconvolgere le persone con il proprio "io", può essere peggio di un semplice "suicidio".

12 aprile, 2007

Passo in avanti...

Ciao. Stasera siamo rimasti io e te. Siamo qui, seduti ad aspettare il nulla... e che passi presto, a portarci via. Sono venuto a chiederti quand'è che siamo cresciuti, quand'è che io sono diventato quel pezzo di merda che non riesce a sopportarsi da solo, figuriamoci ad essere apprezzato dagli altri. Sputo rabbia in faccia alla gente e non capisco dove vado a parare. In realtà ce l'ho con me stesso. Ora sono immobile, davanti a questo baratro infernale che è la mia anima.
Sono qui con la mia filosofia da terza elementare e tu che non mi guardi nemmeno, guardi il vuoto che ottenebra cuore e mente. A che punto siamo arrivati? Parliamo e non diciamo più nulla di sensato. Stiamo perdendo significato. Abbiamo smesso di ascoltare, di osservare, soprattutto. Mi sembra di essere in una favola malinconica che odora di naftalina. Cosa stiamo cercando? Un approdo sicuro? Ma siamo instabili. Tu lo sai, io sono un'isola che si muove. Quando sono fermo sto male. Odio avere bisogno di qualcuno, odio per avere bisogno di qualcuno. Qualche volta ho amato.
Tutto quel casino, tutto quel discutere, quel mio blaterare al vento di libertà, quel dire sempre la propria e dire sempre quel che si pensa, senza mentire, senza stronzate, dritto in faccia e senza addolcire la pillola... a cosa è servito? Siamo onesti, tu nemmeno mi ascolti, vecchio mio. Guardi ancora il cielo sopra la tua testa qualche volta? Hai notato che ha perso brillantezza, luce, anche un po' di colore. Sta davvero diventando tutto grigio. E' per questo che non metti più il naso per aria, vero?
E' ora di smetterla di girarci in torno. Sappiamo quello che dobbiamo fare. Adesso hai 42 anni. Hai fatto tutto quello che volevi. Hai sempre fatto quel cazzo che ti pare e sei vissuto da dio. Sei davvero stato un dio. Eppure non ti sei mai reso conto che un dio è uno solo. Uno soltanto. Tu sei solo. Hai raggiunto il vertice della piramide della tua vita, sei così in alto che quasi stai volando. Ti senti perfetto, ma non lo sei e non lo sarai mai.
Quando eri ragazzo, quando eri me, hai sempre detto che dio non era perfetto. Che dio era un figlio di puttana altezzoso, bastardo, vendicativo e insicuro. Ha solo fatto la voce grossa e ha deciso cosa è bene e cosa è male. Tu gli hai solo fottuto il posto.
Quando io e te eravamo uniti, dicevi che la perfezione era squallida, perchè è utopica. La perfezione non esiste perchè siamo stati creati da un dio imperfetto. Se dio fosse stato perfetto ci avrebbe creati tutti uguali, tutti identici come gocce d'acqua, tutti felici. Ma dio non è perfetto. Dio è caos. Dio è un coglione. E' un insicuro che ha bisogno di essere pregato per fare le cose. Si, dio è come te. Grandissimo figlio di puttana, ci sei riuscito: sei davvero un dio. E sei solo. Sei solo perchè non riesci a farti bastare di essere dio. E' questo che ti rende un gradino superiore a lui. Tu ti annoi prima e senza scatenare stupide alluvioni o enormi cataclismi. Maledetto stronzo, non ti accontenti mai.
Sai perchè hai sempre sputato merda in faccia agli altri? Perchè erano migliori di te. Già. Pensa se dio avesse lasciato fare al diavolo. Magari la Terra, questo pianeta ignobile che va alla deriva, sarebbe PERFETTAMENTE tonda. Magari non saremmo soli, faremmo orge e saremmo meno ottusi. Invece no. Viviamo in un mondo imperfetto dove la gente è altamente "giusta". Viviamo in un mondo di puritani (per lo più cattoloci) e perbenisti che hanno un terribile bisogno di perdizione. E la inseguono a tutti i costi! Eh, amico mio, è proprio un mondo di merda quello che hai voluto. Perchè anche tu l'hai voluto: tu, in quanto dio, non l'hai cambiato.
Tu hai fatto sentire gli altri peggiori di te (si, lo ammetto, qualche volta hai avuto ragione) perchè, quando davvero arriverà il giorno del giudizio (se mai esiste), tu ti potrai mettere a confronto con gli altri e stare di una tacca più in alto. Se gli altri ammettono di essere inferiori, tu devi per forza essere superiore. E ci riesci!
Praticamente, cerchi di essere un dio per redimere un dio. E qui ti frega con il peccato di superbia, ma non è superbia se gli altri sanno che tu sei il numero uno.
Il fatto è che non importa se sei il numero uno. Il fatto è che importa solo a te.
No, non voglio rimproverarti. E' inutile che ti specchi nei miei occhi vuoti. Non troverai più nulla perchè i miei occhi sono i tuoi.
Su, smettiamola. Raggiungiamo la perfezione. Basta smettere di essere dio. Basta un salto nel vuoto.

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Spiegazione: per chi non lo sapesse, qualche anno fa, una mia goliardica amica ebbe la bella idea di farmi le carte. Si, insomma, i tarocchi. Non che io ci creda (anche se, una volta, una tizia che me li ha letti, ci ha preso... interpretando). Io sono scettico, ateo, presuntuoso e credo solo in ciò che vedo. E quello che non posso (ancora) vedere, lo invento. Secondo questa persona, io morirò a 42 anni suicida dopo aver fatto qualcosa di grande. Magari è vero.

06 aprile, 2007

Lo stato d'animo è una costante da cambiare

Vorrei un mondo a colori per poter scegliere tra infinite tonalità... di NERO.



Il mio nick completo su MSN, al momento, è:

durk/Paranoid Android [INFINITE NEURASTHENIA].

Vorrà pur dire qualcosa, no?

05 aprile, 2007

Riflessioni 2.0

Poi ci sono quelle fissate col fatto che vogliono "SALVARMI" da me stesso, o "CAMBIARMI" secondo la loro idea (alquanto deviata) di me. Ma io sono così... un eterno volo alla Icaro, tra alti e bassi... soprattutto bassi, ma mi sta bene, mi sta bene pensare troppo.
Mi piace chi non posso raggiungere, forse perchè mi sembra più vero un suo bacio di mille giri di parole che le persone mi propinano per riportarmi sulla LORO retta via.
E, inoltre, che ci posso fare se sono una carogna e mi annoiano le persone che mi vengono dietro? Le persone mi vogliono o in catene o fuori dai piedi. Quando la seconda ipotesi si avvera, rivogliono la prima.
Penso di avere un problema. Un altro. Fanculo.



Aggiunta del 06/04/2007


Riflessioni 2.0.1 (La Patch)

Dimenticavo di dire che poi ci sono quelle che vogliono essere salvate da me. Praticamente, aspiranti suicide rompicoglioni. Solo "Fanculo" qui è dire poco.

Riflessioni

Mi chiedo perchè le persone si accorgano di avere un bisogno estremo di me... solo dopo avermi perso! E' sempre la stessa storia. Il fattore comune sono io. Quindi il problema DEVO essere io, se no, non ne vengo fuori. Perchè la ragione poi, alla fine, è sempre loro. Perchè sono io che non mi faccio sentire... sono io lo stronzo di turno. Come se avesse importanza, almeno per me, chi ha ragione o chi ha torto. Come se avesse importanza essere il "sempre LUI" per qualcuno... e poi non essere sul serio per nessuno. Fanculo.

Favola triste...

C'era una volta un bruco che si era innamorato di una bellissima farfalla dalle grandi ali perfette. La bella farfalla non degnava il misero e strisciante insetto peloso nemmeno di uno sguardo. Il piccolo bruco verde cercava di fare di tutto per mettersi in mostra: per piacerle le portava le foglie più belle che riusciva a trovare, passava ore e ore sotto il sole alla mercè degli uccelli, pur di portare alla farfalla ciò che di meglio era in grado di regalarle.
La farfalla sdegnava, però, le offerte del bruco. Disperato, non sapendo cosa fare per piacere allo splendente lepidottero, decise di rinchiudersi in un bozzolo di seta per stare finalmente solo e cercare di scordare la farfalla che amava. Al buio, piano piano, il bruco si mutò in farfalla anch'esso. Quando uscì dalla seta in cui si era avvolto, guardò sorpreso le proprie grandi e splendenti ali, il corpo perfetto e affusolato e le lunghe antenne. Credendo nel miracolo, cominciò a volare e volare alla ricerca della bella farfalla che ora, forse, poteva amare, ma non riuscì a trovarla. Si fermò, dunque, all'ombra, tra i rami di una quercia, la quale lo sentì piangere e gli disse: "Tu, bruco, sei diventato farfalla per amore e morirai d'amore, 'che diventar farfalla questo vuol dire: vivere pochi istanti di bellezza splendente alla ricerca di quel fascino vile e apparente di chi è stato prima di te e disprezzando le larve che ora strisciano. La farfalla che tu ancora cerchi, già era morta prima che tu finissi di tessere il tuo bozzolo".

04 aprile, 2007

PEPPE MOFFA for president!

Quando ero piccolo, nel periodo natalizio facevo il presepe con mia mamma. Era una roba molto artigianale, ma mia madre ci sapeva fare. Allestivamo il paesaggio con pentole, scatole, barattoli e cartone, il tutto avvolto nella carta color roccia o dalle tonalità della terra. Un spruzzata di neve fatta con l'ovatta o, con gli anni, con quella in bombolette che ti fanno girare la testa quando le usi... e allargano il buco dell'ozono di almeno un paio di metri. Usavamo "pupi" (i personaggi) vecchi di anni e anni, tramandati di generazione in generazione. Il mio preferito era un enorme zampognaro. Era la statuina più grande, che si metteva davanti (maledetta prospettiva) e io avevo sempre paura che cadesse e si rompesse. Era già successo con altri "pastori", "pescatori" e le altre figure, molte incollate alla meglio col super-attack. Eppure quella statuina non è mai caduta, è forte, è in gamba. Per me, era il gigante buono e indistruttibile.

Anni dopo ho cambiato città, mi sono trasferito per studio (se così si può chiamare). Tra i miei coiquilini, mi sono ritrovato un chitarrista, un ragazzone alto due metri, grosso e bravo, una persona fantastica. Ebbene, quest'uomo suona di tutto, zampogna compresa. Non fa il mio genere di musica preferito, ma è davvero bravo.
Giuseppe "Spedino" Moffa è un grande artista, cantautore, musicista poliedrico (ho avuto il piacere di sentirgli suonare di tutto, sia come strumenti che come genere) e di grande cultura, sebbene terribilmente umile. Peppone, così è stato ribattezzato da me e gli altri di casa, ora potrà suonare al mitico concertone del primo maggio a Roma, ha solo bisogno di voti. E il mio apporto ce l'ha tutto. Se volete farmi un favore, votate Peppe Moffa sul sito e non ve ne pentirete:

http://primomaggio2007.temi.kataweb.it/premio-kataweb-ascolta-e-vota-la-band/
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VOTA per PEPPE MOFFA!


02 aprile, 2007

Pindaro l'onirico e altra gente

Noi siamo gente strana. Noi siamo persone di cui si ha paura, siamo solo fobie. Da noi bisogna stare alla larga, quindi state attenti, perchè siamo dentro di voi o forse solo cattivi pensieri. In ogni caso, siamo.

Noi siamo gente vestita di nero e metallo, sangue e passione. Noi siamo i ricordi migliori coi quali potrete avere a che fare. Noi siamo persi e presenti.

Noi non siamo né odio né amore. Noi viviamo di ciò che avere il terrore di provare.


Stasera ho ricevuto l'invito per un banchetto di cattivo gusto.
In certe occasioni non ci si può presentare a mani vuote. Sono incontri per pochi intimi, dove ognuno interpreta se stesso.
Così ho preso dei dolci e una bottiglia di vino. Tutta roba di prima scelta: cuori pulsanti e sangue divino.

Che sbadato, non mi sono presentato! Stasera Io sono Pindaro. Io sono una moltitudine di nulla in procinto di schiantarsi, ma che non troverà mai il suolo. Il Mio peggior problema è che sono incompleto. Io non ho le orecchie. Io sono così incentrato su Me stesso che posso darvi solo l'attenzione degli occhi.
Io cammino svelto, rincorrendo il tempo che ho perduto. Per Me è sempre un attimo troppo tardi. Io volo veloce, ma lascio dei solchi profondi: strappi. Sono la prova del Mio passaggio. VederMi volare è un cattivo presagio.
Ad ogni modo, stasera il ritardo è un dettaglio irrilevante, perchè il destino non ha mai fretta.
Ad aspettarMi ci sono la ragazza col pellicciotto nero e l'uomo che se cade si suicida. Loro non sono altro che personaggi, come Me.

La ragazza con pellicciontto nero oggi è meno terribile. Il suo è sempre uno sguardo di spilli che non pungono, se sei abbastanza intelligente da starne lontano. Mi saluta con tono non curante. E' bella la ragazza col pellicciotto, elegante e superba. Si chiama Charlotte, qualche volta. E' un felino. E' una fiera altezzosa. Ha modi altisonanti e strafottenti, ma è delicata come una statua di cristallo finissimo... talvolta, assolutamente fuori luogo. Ha sempre l'aria di pensare. La si può amare e ammirare, ma non capire. Va presa con le pinze, per quello che è. E' una donna nel corpo di bambina. E' una bambina nell'involucro di una donna. E' metà se stessa e metà qualsivoglia dea. Ha paura di crescere e il terrore di essere e non poter tornare indietro. Il resto è disprezzo.

L'uomo che se cade si suicida si chiama Oscar. Non è alto, è magro. Cammina sospeso, senza sfiorare il terreno, su piedistalli con tacchi a spillo. Ha la pelle di cera e le unghie severe laccate di nero, ha gli occhi cupi e la labbra segnate di rosso vivo. Porta lamette di rasoio ai polsi ed al collo. Ha capelli neri e occhi corvini, famelici, seppure cordiali. Raffinato e tagliente come lama di kitana. Oscar ha movimenti leggeri e lenti, muovendosi in un'aria di bambagia che si muove intorno a lui e lo trattiene dalla morte. Ciononostante sembra quieto e pacato, gentile nei modi.
Ci salutiamo come si salutano gli dei, con grandi colori. Adoriamo il grigio intenso.

I "normali", alle volte, si intromettono nei nostri discorsi denunciando la loro ira per dardi di fuoco lanciati goliardici dai nostri occhi impassibili. Noi parliamo di arte, lussuria e vite passate e future, il presente è solo un dettaglio.

Alla porta poi si presenta Agata. Agata è donna, Agata è sesso e passione, spesso addormentata e sopita, trattenuta con rabbia e disperazione. Agata ha lunghi capelli scuri d'un blu oltremare, lisci di seta. Agata è gatta. Agata è schiava di se stessa, oggi ha bisogno di essere amata.

Il primo salvatore della nostra speciale roulette è per lei, l'ultima giunta. Noi ceniamo, noi mangiamo le nostre quiete perversioni, nella nostra cena d'altri tempi, parlando di muse che non si trovan più in questo mondo. Agata la bella tiene il grilletto come un biglietto per un treno per il nulla. La mano è ferma mentre punta la pistola alla propria tempia. Poi, ecco, un lampo e svanisce. Noi continuiamo a ridere, mentre il ricordo di Agata dice che è tutto a posto e noi vogliamo crederle, perchè lei è fenice che risorge ogni volta dalle proprie ceneri.

Altre parole, altro cibo inutile nei nostri piatti vuoti. I discorsi si sprecano sui libri e sull'arte e sui magri lavori illuminati dei grandi schermi alla plasma. Siamo lì immersi in nuvole di fumo e incenso asettico, immutabili e già passati di moda.

Altro giro di roulette. Solo viaggi a vuoto. Poi ecco un'altra viaggiatrice del tempo, che si unisce nei nostri percorsi onirici. E' slavata, con capelli di fiamme raccolti e occhi chiari e ambigui, a metà tra uomo e donna, essere e non essere, buono e cattivo. Tutta roba di poca importanza per questa stanza vuota che è già al di là di tutto. Il destino non le è grato. Il colpo in canna è per lei. Sembra vero: "gli ultimi saranno i primi".

Altre parole, altro cibo inutile nei nostri piatti vuoti. Il prossimo tiro sarà per Me. Il proiettile c'è. Ho il tempo di vedere gli altri ridere ed Io ho paura del dopo. Non Mi spaventa il dolore. Li guardo e rido insieme a loro. Poi mi congedo e svanisco, aspettandoli per quando sarà il loro turno di addormentarsi.

Siamo belli nel nostro delirio.