12 maggio, 2010

Sognando di me. Atto II

Parcheggio l'auto.
Non sei ancora arrivato.
Quante volte abbiamo parlato su quella panchina davanti a me per ore e ore, con le chiacchiere fino a tirare su il sole da dietro quella vecchia scuola. Far mattino è una delle nostre specialità.
Una cosa che mi ricordo sempre è quando, alcune mattine, un soffio di tramontana ci portava l'odore del pane. Non so perché, è un bell'odore da associare a due vecchi ragazzi che ridono con gli occhi gonfi e rossi di sonno, scavati dalle occhiaie e che continuano a ridere ancora o a raccontarsi storie vissute e un po' troppo depresse. Non che facesse differenza. L'odore del pane è l'odore del pane.
Scendo. Lo sportello sbatte alle mie spalle e il click della chiusura centralizzata m'insegue mentre mi allontano di un paio di passi.
Accendo una sigaretta comprata al distributore automatico della stazione di benzina all'ingresso del paese. Mi ha fregato venti centesimi. Bestemmiamo contro il proprietario? L'abbiamo fatto spesso. Sorrido.
Quanti anni sono che ci conosciamo? Non li ho contati, non ne ho avuto il tempo, non credevo ce ne fosse bisogno. Ora vorrei scrivere un numero però. Così, per sapere dove comincia e dove può finire un'amicizia, per porre dei limiti, dei paletti, per non osare oltre.
La realtà è che sono troppo orgoglioso per ammettere di aver superato quel perimetro. La realtà è che hai cagato fuori dal vaso anche tu e io sono venuto a calpestare quella merda, non a ripulire il tutto. Stavolta no, non so se ce la faccio. Non posso. Ho cercato di spiegarti il perché. E' sempre stato semplice salvarci le chiappe a vicenda. Siamo stati dei buoni amici. I panni sporchi li lavavamo in casa.
Vorrei capire che cazzo ti passa per la testa.
Una volta mi era più semplice. Iniziavi una frase e io la continuavo come tu sapevi che l'avrei portata avanti, rubandoti le parole di bocca. Poi la finivi tu, nel modo in cui io pensavo fosse giusto. Esattamente come pensavi tu. Era questione di qualità. E giù a ridere.
Vorrei saperti dire cosa non va in me e in te, amico mio, ma non sapremmo ascoltarci o come finire le frasi, dove andare a parare coi predicati.
Certe volte non capisco. E' che non ascolto. Non ti ascolti. Siamo due cinici bastardi e sorrido scalciando una pietra lontano. E' uno di quei sassolini rotondi che formano lo spazio per le giostre, da quando hanno rifetto questa piazza. E' deserta anche stasera. Solo un paio di cani che si rincorrono. Li chiamo, ma non vengono più. Questo sogno è un po' triste.
Parcheggi quasi di fronte alla pizzeria. Non so perché, non che non ci fossero posti liberi, giusto un paio di macchine. Parcheggi la Clio a una certa distanza forse. Fai il giro per chiudere, non hai ancora aggiustato la serratura e non credo tu abbia intenzione di farlo. Mi chiedo come tu sia riuscito a metterlo in moto quel caro vecchio macinino.
L'aria è più densa del solito, non credi anche tu?
Rimaniamo in po' fermi, senza guardarci, a crogiolarci in quest'atmosfera da momento già vissuto.
Poi ti avvicini con quell'aria un po' non curante, sforzandoti di non ridere, come fanno i bambini che sanno di aver commeesso una marachella per la quale non verranno sgridati, magari neanche scoperti. "Che faccia da culo!", mi viene da pensare, poi vorrei abbracciarti, ma il mio è un sogno triste.
Ti dondoli un attimo davanti a me, ci guardiamo per salutarci. Tu ridacchi tra te e te. E io faccio un sorriso striminzito, perché ancora so cosa stai pensando, o almeno ho qualche ipotesi. Stai facendo lo stesso.
Ti siedi.
I cani si avvicinano di qualche metro, ci girano intorno, vanno via.
Vorrei dirti che sei uno stronzo. Vorrei dirti: "oh, compa', certe volte sei proprio una merda". E poi riderci su. Ma io lo so che sto sognando, perché sono in quella parte di sogno tra la veglia e il dormire. Quella parte in cui i sogni puoi decidere come vanno a finire. E io lo so come va a finire e non ho voglia di parlartene. Diresti che esagero un po'. Avresti ragione. Penso troppo, certe volte col cuore, certe volte m'impunto. Certe volte fai le guerre inutili solo per allontanare la gente. Poi ti domandi come tu stia facendo a diventare un cuore freddo, io ricerco un modo per non prenderti a calci in pieno volto.
Sono incazzato, spengo la sveglia e mi tiro su. Sospiro. Non va tutto troppo bene.

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