07 maggio, 2007

Libero mercato

Da ragazzino avevo un amico. Fabrizio Fancinelli, detto "Stecca". Fabrizio era più grande di me di cinque anni. Era un ragazzone magro con la faccia pulita, il muso profetico di chi sa dare le risposte giuste. Era anche un bullo. Non che facesse male a qualcuno, ma gli bastava uno sguardo perchè la gente avesse paura di lui. Aveva occhi chiari, come il ghiaccio. Erano occhi terribilmente duri, quelli di una bestia feroce sempre troppo stuzzicata dalla vita. Faceva il quinto anno, io il secondo. Lui era ripetente.
Per Fabrizio, tutte quelle manifestazioni studentesche, tutte quelle stronzate politiche erano tempo perso. Quando vedeva i ragazzi cominciare le rivolte, se ne fregava. «Nessuno ascolta una miriade di adolescenti sfaticati». Era solo un buon giorno per far sega a scuola, «la scusa giusta - cito testualmente - per un immeritato giorno di vacanza». Lui se ne andava al piccolo bar all'angolo, in fondo alla strada. Nel bar c'era una saletta buia, con un vecchio tavolo da biliardo. Biliardo all'italiana, quello coi birilli. Era un buon giocatore Fabrizio, sarebbe potuto migliorare anche di più. A scuola nessuno l'aveva mai battuto. Io l'avevo conosciuto per caso. L'avevo conosciuto perchè ero una testa calda e perchè ho sempre odiato chi mi pesta i piedi. Fabrizio cercò di buttarmi fuori dal cesso della scuola e io gli dissi semplicemente di "andare a fanculo", seduto sugli scalini davanti al bagno dei professori (adibito a sgabuzzino dei bidelli, dato che gli insegnanti usavano il bagno del piano superiore, quello accanto alle toilette delle donne. Le professoresse si sentivano più sicure, i professori potevano intravedere qualche ragazzina pisciare).
Tutti conoscevano Stecca. In molti pensavano che venisse chiamato così per il gioco elegante sul panno verde. La realtà è che aveva preso il soprannome dato a suo padre, un contrabbandiere di sigarette che era dietro le sbarre.
A Fabrizio, se non eri qualcuno, non si poteva rispondere male. Lui non ti toccava. Erano i suoi amici a pestarti. Almeno in tre o quattro. Non so perchè quel mandarlo al diavolo non mi costò un sacco di lividi. Fabrizio mi sorrise amaramente, con solo metà della bocca, e mi chiese di fumare una canna con lui e i suoi compagni. Era il primo spinello che fumavo. Rollava la canna con lo stesso modo preciso con cui usava la stecca. Cominciai ad entrare nel suo giro.
Iniziai col passare parecchio tempo insieme a Fabrizio. Aveva provato a insegnarmi il biliardo, ma io ero negato. Per tutto novembre si entrò poco a scuola. Passammo insieme molte mattine. Erba, alcol, caffè e biliardo. Fabrizio diceva di odiare suo padre. Invece, lo imitava. Faceva il cameriere quasi ogni sera per aiutare la madre a mandare avanti la famiglia, a crescere la sorella più piccola. Ma non era lavorando tra i tavoli che faceva i soldi. «Con le sigarette - diceva - non si guadagna nulla. Con l'erba si campa, ma non abbastanza». E lui spacciava. Ed io con lui.
La prima volta mi disse che doveva fare un "lavoro" (lui stesso lo chiamò "lavoro", facendo le virgolette con un gesto delle dita). Mi disse di starne fuori, fui io a volerlo accompagnare.
Spacciare è un lavoro sporco, ma molto delicato. Per Fabrizio erano quattro le regole da rispettare. Non dare nell'occhio. Questo significa farsi i cazzi propri e saperseli fare senza che gli altri ne sappiano mai nulla. Farsi di qualcosa di un gradino più leggera rispetto a quello che vendi e mai prima di una contrattazione. Questo vuol dire che quando scambi merce devi essere pulito. Sapere quando smettere. Praticamente, non si può continuare a spacciare di continuo se non vuoi essere beccato. Chiunque è un potenziale acquirente, ma non un acquirente. La gente con cui si fanno affari deve essere selezionata.
Ovviamente, Stecca cominciò a non rispettare nessuna delle quattro regole, lui aveva sempre bisogno di soldi.
Il figlio di puttana fece un gran casino in una sala da biliardo. Doveva lasciare un pacchetto di paste ad un coglione che sarebbe finito dentro la notte stessa. Gli sbirri gli stavano alle costole mentre guidava completamente fatto di eroina. Invece di frenare finì contro un albero quasi abbattendolo. La polizia trovò nella sua macchina un'intera "farmacia". Paste, coca, eroina, crack, fumo, erba. Non potete immaginare con quanta roba se ne andasse in giro quel grandissimo stronzo. Nemmeno io mi sarei mai immaginato che i sedili e tutta la macchina fossero il suo personale magazzino.
In quell'auto ci sarei dovuto essere anch'io. Fabrizio mi disse che ci avrebbe messo pochi minuti e di rimanere con gli altri.
Tutti hanno detto che era stato un incidente, ma Fabrizio non mi ha voluto far crepare con sè. E lo ringrazio per questo e per tutto quello che ha fatto per me. Alla fine mi ha fatto stare fuori dai guai dopo avermeli fatti assaporare.
L'unica pecca e che non smetto di guardare chiunque come un potenziale acquirente, quindi, figlio mio, serviti pure.

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