26 luglio, 2011

Porta Ombrelli.

Gli ospedali mi hanno sempre fatto schifo. Questi poi! Sud Italia e sanità vanno di pari passo: più si scende a sud, più scade in un baratro profondo la qualità della struttura, dei modi di fare del personale, delle sale per il pubblico, della musica ascoltata (in radio diffusione) da medici e infermieri alla radio. Fossi paziente sarei molto propenso ad ogni sorta di lagnanza pur di non ascoltare danza cazzinculo, o Spaccamaronotti con la sua "s" biascicata, o Scassa Rozzi in radio. O, peggio, roba tipo Troia Caga o uno pseudo rap hippopparo a caso. Comunque troppo "ganga" per essere capito nella sua ignoranza, persino dalla grettitudine della vecchietta che assiste il marito o dalla rincoglionita che viene a trovare il parente truccata come se fosse in procinto di andare a battere i di farsi passare tra le cosce un palo di lap dance o d'altro genere. E non ti dico il reparto maternità. Cristo.
E, a proposito di bestemmie, più scendi al sud, più aumentano gli altarini, le immagini sacre, i lumini... perché gli ospedali non sono già abbastanza inquietanti: addobbiamoli come fottuti cimiteri!
E le strutture fatiscenti anche quando sono nuove o appena ristrutturate. La cosa fa pensare.
Del resto, anche la gente che ci lavora è quasi eroica. Persino i pazienti fanno il possibile per sopravvivere. Poi mi ritorna in mente la musica scelta da medici e infermieri e di essere venuto a trovare qualcuno che è qui perché non si è mai curato. E un po' ti senti preso per il culo. Soprattutto quando vai al cesso e ti viene il vomito e ti passa lo stimolo della pisciata (salvo annaffiare il pitosforo secco e i cipressi del giardino).
Le sedie in plastica azzurra, sbiadite dal sole che entra dalle finestre, comode come una manciata di puntine. Verrebbe da sedersi sulla sedia a rotelle parcheggiata a caso in un angolo del corridoio... ehm... sala d'aspetto. Grigia, una ruota che non c'entra un cazzo, ruggine, l'imbottitura mezza da fuori. Avrà una quarantina d'anni. Immagina quanta gente ha poggiato le sue chiappe su quell'affare e quanto sia pulita... con la parte centrale della seduta che è rimovibile (per ovvie ragioni), con la muffa che si vede in un punto in cui si appoggiano le gambe, dove esce la gommapiuma.
Le luci, anche la sera, sono accese una sì e una no. Per non disturbare i pazienti (seee, come no?!)... e sconfinarli tutto il giorno e la notte in uno stato di soporifera penombra penosa. Magari è per avvicinarli alla luce crepuscolare... dove si stanno affacciando.
E poi detesto l'odore degli ospedali. Fottutissimo olezzo di ospedale. Lo sento per giorni dopo essere uscito da 'sti posti. È una puzza grigia di disinfettante grigio. Non ha niente di asettico. Sembra solo un odore stantio, fermo, che ti rapisce nel suo grigiume. E NON SI ARRENDE PRIMA DI QUALCHE GIORNO.
Da quando sono qui ho starnutito tre volte e consumato un pacchetto di fazzoletti. Ipocondria.
Sul portaombrelli c'è attaccato un foglio di block notes con scritto a mano, in un orribile stampatello blu,
PORTA
OMBRELLI

Suppongo che la gente lo usasse come cestino dei rifiuti, sebbene questo stia giusto accanto con tanto di busta.
Gli infermieri ci mettono una vita a rispondere alle chiamate dei pazienti. L'allarme di chiamata suonava e un infermiere stava al piano terra a fumare una sigaretta, l'altra parlava al cellulare per le scale. Quando è risalito il fumatore era... leeeentooooo.
Anche fuori il tempo è grigio. Non pioverà, anzi, schiarirà presto. È solo caldo in più, dovuto all'umidità.
La noia la si vede proprio, sui volti di tutti, nei gesti, nel tempo che scorre lento, nel clima. La si vede nel bambinoche gioca con l'ascensore e non trova nulla di più fantasioso, nella madre zoccola che nemmeno lo richiama, in me che ho letto un centinaio di pagine di Irvine Welsh che non mi piglia poi tanto. In me che scrivosl cellulare queste quattro righe. Nel vecchio seduto in pantaloni azzurri da pigiama e maglietta intima bianca e che se ne sta lì a dondolare se stesso e il suo bastone. Se ne sta solo a fissare il vuoto, ogni tanto prova a sorridere con quel languido sguardo vuoto, fluido, smarrito nella sua aterosclerosi e l'unica cosa di cui si lamente è "Toccu! Lu mangiare alle cinque e menza?! Ah, povera Italia! E mo' ne lu portane...". Poi si alza e si trascina lento e storpio sul suo bastone. E la puzza del cibo pervade il corridoio. È la solita puzza di pasta scotta, brodino giallo che sembra vomito raggrumato, carne bollita troppo a lungo e l'immancabile mela cotta. Che cazzo! Io odio gli ospedali.

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