05 febbraio, 2007

Storia della porta accanto




















«Sai?» una pausa «l'ho fatto».
«Cos'hai fatto?»
«L'ho fatto. Ho fatto quello che volevo. Ho fatto ciò che dovevo. Sono stata io».
«Cos'hai fatto? Cosa dovevi fare?» Ripetè la voce fuori campo, la voce nella penombra.
«Mi sono ripresa ciò che era mio». Calma. La sua voce calma, che ammetteva la propria colpa, senza sentirla come tale. Sollevata. Senza sospiri, respirando lenta, come se stesse per addormentarsi.
«Ne stavo uscendo pazza. Non dormivo, non mangiavo, non vivevo. No, non vivevo. Sopravvivevo. Sopravvivevo senza viveve. Andavo avanti senza motivi. Che diavolo dovevo fare? E pensare che l'idea me l'ha data lui. L'ultima volta mi ha detto: "che vuoi da me? Il mio cuore? Non è tuo". Si che è mio. Stronzo!». Qualche uccello cantilenava fuori il proprio verso, quasi come un eco un po' troppo acuto.
«Mi rideva in faccia. Si prendava gioco di me. Mi amava, lo sapevo che mi amava. Era lui a non capirlo. Ma ora lo sa» disse. Sorrise un istante, compiaciuta. «Tu capisci, vero?» aggiunse.
«Forse. Forse ancora no. Che è successo?» La voce fuori campo ascoltava nella penombra della camera, sotto il fascio di luce che filtrava dalla serranda quasi completamente abbassata, nella luce tenue e rosea del pomeriggio. Faceva caldo, era umido. Eppure era tutto così imperturbabile nella stanza. Dalla finestra aperta odore di foglie verdi e di sole, odore di fiori, odore d'esterno. Odore libero, senza sbarre.
«Gli ho chiesto» continuò il racconto «Gli ho chiesto di vederci. Ci avevo pensato, ma non credevo di farlo...» tacque un istante per rivedere quei momenti, serie di flash rallentati nel maxischermo al plasma del proprio cervello. «E invece l'ho fatto».
«Sai come vanno certe cose, no? E' che non avrebbe dovuto lasciarmi. E' che doveva stringermi e tenermi con lui, è che me l'aveva sempre promesso» e d'un tratto lacrime prive di suono scendevano, senza che nessuno le avesse chiamate in causa, lungo il suo viso «E' che io gli avevo sempre creduto». Gli occhi lucidi si riempiro di rabbia.
Sorrise disillusa.
«Non è vero. Sono stata io a lasciarlo. Sono stata io a buttarlo via, a farlo andare lontano da me. Ma lui era mio comunque. E io avevo troppo bisogno di lui. Ho sbagliato, ma non poteva aver smesso di amarmi. E lui mi amava, doveva solo ricordarselo. Non capisco perchè non se lo ricordasse più, tutto qui. Volevo solo capire. Volevo che me lo spiegasse. Non poteva gettar via tutta la vita che aveva avuto e inseguito per anni. Non poteva aver cancellato tutto. Non poteva essere cambiato così tanto. E io mi sentivo troppo persa». Si rannicchiò sul divanetto per un attimo, poi ritorno ferma, stesa supina.
Il vestito di cotone color avorio a fiori piccoli e neri le ricadeva addosso, ondeggiando placido nella lieve corrente d'aria che tagliava la stanza. Lei era in mezzo, pareva rilassata, almeno alla prima occhiata, adagiata con le caviglie incrociate e le mani l'una sull'altra, sul ventre, subito sopra il pube, distesa sul divanetto di stoffa rossa, stoffa italiana. Doveva costare molto quel divanetto. Poteva sembrare un cadavere nel suo feretro per nulla economico. Lei era abituata al lusso. Non era ricca, ma non le era mai mancato nulla, nemmeno la possibilità dello spreco. Era sempre arrivata a tutto. Aveva sempre preso ciò che voleva. Sempre.
«Avrei dovuto studiare, preparare un esame bla bla bla di qualcosa di cui non m'importava nulla in quel momento. E' che lui era l'unica cosa a cui riuscivo a pensare. Lo so, lo so, lui era stato chiaro, ma io non potevo non lottare. E poi, cavolo, lui mi ama. Lui mi ha sempre amata, più di quanto non lo avessi fatto io. Semplicemente, non credo che una persona possa cambiare idea di punto in bianco. E poi nessuno è come lui. Mi ha sempre riempita di attenzioni, ha sempre fatto tutto per me. Ha creato l'impossibile» gli occhi le si riempirono di luce «mi idolatrava, io lo so».
«Io ero stupida e non capivo. O forse ero solo troppo in gamba per lui. Non capivo di avere così bisogno di attenzione». Pausa.
«Così ci siamo visti. Gli ho dovuto mentire. Gli ho giurato che non l'avrei ammorbato con il fatto che lo amavo. L'ho fatto venire con una scusa. Gli ho detto che stavo male. E' stupido. Ci è cascato. Ci ha creduto. Credo sia perchè, inconsciamente, sa di amarmi».
«Lui non può fare a meno di me, capisci? Siamo fatti per stare insieme. Ne abbiamo superate tante».
«Ma cosa è successo?» La voce nell'ombra rimase fredda e impassibile, con una curiosità non curante.
«Lui non voleva tornare indietro. E poi ora c'era quella stupida sciacquetta. Stupida cagna. Lei non è il suo tipo. Capisci? Io lo supplico di amarmi e lui mi ride in faccia e con quella stessa risata tra i denti, mi dice che ha un'altra. Una troia, gli dico. Non voglio nemmeno sapere chi è».
«Mi dice che gli dispiace, ma non gli credo. Lo fa di proposito. Non capisce che mi fa male, non capisce che lui è mio quanto io sono sua». Altre lacrime solcano il viso, mentre il ronzio di mosche che svolazzano tra i raggi di luce guasta l'aria densa.
Fuori la città sonnecchia nella vita di ogni giorno, spezzata dalla calma delle ore più calde. «Le persone si passano accanto e non si guardano. Non riusciamo più a sentire il bisogno nitido di essere amati se non quando non lo siamo più. Siamo stupidi. Poi capita che non lo siamo più e ce ne rendiamo conto, ma è tardi, è troppo tardi».
«Mi ha ringraziata, ti rendi conto?»
«Di cosa?» Parlava l'ombra.
«Di volergli bene. Anche se non capiva più di cosa parlavo».
«Poi mi sono persa una attimo. Quando mi sono ripresa mi ha ringraziata di averlo cambiato, di avergli fatto capire quanto amare una persona senza chiedere nulla in cambio possa essere distruttivo e inutile per se stessi. "Amare - dice - non significa non esistere più, ma esistere insieme". Lo so - gli dico, è quello che voglio. Ma lui non mi ascolta già più. Si sta già infilando verso le scale. Sarebbe uscito da quella porta. Quella stessa porta che gli ho sbattuto davanti quando aveva bisogno di me, quando pensavo che mia madre avesse ragione. In qualche modo dovrei sentirmi in colpa, in qualche modo gli ho rovinato la vita, in qualche modo vorrei solo poter rimediare, amarlo come merita, come lo amo, senza più essere stupida». Prese fiato. Nelle ore più calde lei non riusciva a sudare, anzi, aveva quasi freddo, distesa sul divano prezioso, di fronte all'enorme specchio oblungo che imperava nella stanza e inquadrava un'altra lei, un'altra camera, un'altro mondo, uguale e parallelo a quello in cui viveva, un mondo forse migliore. «Lui mi proteggeva» Silenzio. Poi riprese a parlare, mentre qualche motore riprendeva a rombare giù per la strada e qualche ragazzo parlava ad alta voce con qualcuno. Mentre si infilavano i caschi per andare al mare sulla loro moteretta truccata. «Troppo veloce per un ragazzino, troppo rumorosa. Basta una curva sbagliata, magari la smette di vivere. Così almeno lui sarà innocente di fronte al casino della vita. Magari muore felice».
«E tu sei felice?» Chiese la voce nell'ombra, un po' più soffocata.
«Adesso si. Adesso io e lui staremo di nuovo insieme. Adesso lui è morto e io sono morta e quella troia è morta. Lui mi dava le spalle e rideva. Rideva di me, capisci. E avrebbe continuato a ridere con quella troia, quella troietta sciatta e merdosa. Ecco cosa avrebbero fatto, avrebbero riso di me. E che diavolo ha lei più di me? Vuoi davvero sapere cosa? Nulla. E' solo una vecchia di merda. Maledetta puttana. Ma perchè doveva essere mia madre?».
«Stai tranquilla, ora va tutto bene, no?» Sorrise la voce nell'ombra.
«Si, ora va tutto bene. Lui non doveva scoparsi mia madre. Lui era mio. Mio e basta. Lui è mio. Mi diceva di amarmi, lo capisci? Lo diceva in ogni mio sogno. E lei non aveva alcun diritto di prenderselo. Maledetta puttana. E io non vorrei nemmeno essere nata». La ragazza cominciava a urlare e dimenarsi, mentre le mani si perdevano con colpi secchi tra i capelli sempre più arruffati. Accanto a lei i corpi del padre e della madre, sgozzati, mentre il caldo e le mosche si nutrivano di loro.
«Ti rendi conto di essere pazza?» Disse la voce imperturbabile dall'ombra. «Ti prego, voglio aiutarti. Qualcuno te lo deve dire, tu hai bisogno di aiuto» disse la voce senza sbattere ciglio, indifferente, insensibilmente calma davanti alla scena che si prospettava dinanzi a lei, davanti ad una ragazza impazzita che si strappava i capelli davanti a lei, vestita e truccata di tutto punto, col vestito migliore, quello che le piaceva di più, lavata e profumata, perfettamente distrutta.
«Ti prego, lascia che ti aiuti, abbracciami, vieni con me».
La ragazza la guardò. Davanti a lei c'era tutto quello che le rimaneva, l'ultima speranza.
Si mise a correre smettendo di urlare. L'urto distrusse il grosso specchio che le si frantumo addosso. Il suo mondo fantasioso andò in frantumi, si distrusse mentre il sangue sgorgava dalle sue vene e lei lo guardava, distesa, disegnare dolci linee curve tutt'intorno a lei. Sorrise mentre si abbracciava da sola, in se stessa, nella sua mente.

11 commenti:

D.F. Lycas ha detto...

Il racconto è carino, ma secondo me potrebbe risultare molto più scorrevole eliminando il superfluo. Esempio:
«Sai?» Pausa. «L'ho fatto».
«Che cosa?»
«Ciò che dovevo... sono stata io».

Comunque non sono uno scrittore, ma solo "uno che legge... e ognitanto scrive". Quindi questo mio consiglio puoi anche ignorarlo perché potrebbe essere pure sbagliato :-p

Il disegno è bellissimo. Ma è tuo?

durk ha detto...

Nemmeno io sono uno scrittore, ma terrò conto del consiglio e ti ringrazio della nuova visita, anche perchè apprezzo molto il tuo blog! ^^

Tutte le immagini sul questo blog sono trovate in qualche angolo di internet e solo accuratamente scelte da me. La direzione sta cercando di lavorare perchè questo sia sempre specificato, ma la direzione è ancora troppo inesperta, soprattutto con la nuova versione di blogger che devo dire che mi fa cagare e alla quale sono dovuto passare senza aver mai chiesto nulla.

Colgo l'occasione per ringraziare ancora una volta il buon Kei-Chan, senza il cui apporto questo blog avrebbe chiuso molto, molto tempo fa (data la mia innata mancanza di pazienza e voglia di affrontare i casini che male s'accoppia con la mia ricerca di superficiale perfezione)... e forse non sarebbe mai stato aperto.

Anonimo ha detto...

come ogni volta,mi sento quasi dipinta dai tuoi racconti.
non crederci quando ti dici che non capisci,che non sei capace...
alla prossima.

frà ha detto...

Amore della Zia...
ma quanto lunghi li fai sti post???
Da lavoro non ho tutto il tempo per leggerli e poi se sforzo troppo mi scende la cataratta.
Il disegno è stupendo e sai già che me lo devi portare stampato a casa.
Che sai scrivere lo sai no?
;)
Bravo...
Bacio
Frà

frà ha detto...

Amore della Zia...
ma quanto lunghi li fai sti post???
Da lavoro non ho tutto il tempo per leggerli e poi se sforzo troppo mi scende la cataratta.
Il disegno è stupendo e sai già che me lo devi portare stampato a casa.
Che sai scrivere lo sai no?
;)
Bravo...
Bacio
Frà

Kei-chan ha detto...

A mio modesto avviso direi che sarebbero da eliminare i fin troppo ripetitivi "mio, mi amava ecc" troppo spesso usati.
Lo so che danno l'idea di ossessivo ecc ma rendono solo piu' lungo il racconto senza dare spessore.
Intanto lancio un saluto al DiableSaint.

E cmq quando ho letto il titolo pensavo a qlcosa successa alle tue vicine :P
Ciao durkozzo, grazie per le parole spese e ti ringrazio a mia volte per le lunghe discussioni a cui a volte c'impelaghiamo.
:D

durk ha detto...

1) Per la_bloody.
Mi lusinga il fatto che ti ritrovi nei miei racconti. Un po' musa lo sei sempre stata, ma spero non sia questo il caso.

2) Per la mia Zia/Mamma Francesca.
Grazie del commento e dei complimenti.
Per quanto riguarda la cataratta, mi dispiace, ma ho pure cambiato i colori, di più ancora non so fare, ma mi prodigherò per salvaguardare gli occhi dei miei lettori. Ti stampo il disegno appena possibile.

3) Per Kei-Chan.
Il mio modus operandi nello scrivere è ancora tutto in via di sperimentazione. Comunque, consiglio catalogato.
Le parole spese con te sono sempre un buon acquisto.
E ancora grazie.

Fabio Marzo ha detto...

Adoro il tuo Blog. Adoro il tuo modo di scrivere. Adoro il post "Zapping" è geniale. Complimenti. visita pure il mio se ti va www.fabiomarzo.blogspot.com

durk ha detto...

Beh... Che dire? Grazie e benvenuto sul mio blog!

^_^

Anonimo ha detto...

Già, il codice di blocco del mouse è solo una trovata scenica. Fin'ora non ho trovato protezioni insuperabili. Ad ogni modo, da bravo autodidatta sono felice ti piaccia il mio lavoro..

A presto

Kei-chan ha detto...

uh? o.O