15 aprile, 2007

Tempi morti

E' passato un po' di tempo. Ora non ci sei. Stai dormendo in quel letto che qualche volta abbiamo condiviso. Un letto singolo, ad una sola piazza, con le lenzuola stropicciate, troppo piccolo per tutti e due. Non volevo mai restare, non sono a mio agio in un letto che non è il mio, ma poi la voglia di te è sempre stata troppa. Anche io dormirò, tra poco, nel mio letto che conosci, quello in cui dormivamo nudi, sudati, caldi. Anche il mio è singolo e in due ci si dorme male, ma con te era sempre stupendo.
Ho guardato le tue foto, quelle che ti ho scattato. Poi le nostre, insieme in stazione, ad una festa, tra i banchi dell'università, che abbiamo preso entrambi sotto gamba. E' stato un caso. In realtà cercavo altro. Forse, inconsciamente ti cerco ancora. Mi è venuta in mente la prof. di storia contemporanea che ci trattava come fossimo fidanzati. Ma io e te non stavamo insieme. Nella tua vita c'è sempre stato poco posto, qualche volta anche per te stessa. Stringersi non sempre è possibile.
Non ti rimproverò, sai già come la penso, mesi e mesi di litigi sono bastati, anche se ancora mi vengono le lacrime agli occhi se penso a tutti quei casini, accumulati anche in breve tempo; lo sapevamo che doveva finire là.
Lui lo raggiungevi ogni fine settimana, ogni fottuto fine settimana e io ci stavo di merda, e tu t'incazzavi quando ti chiamavo. Ma tu non hai mai capito. Non volevi sentire ragioni, lui... lui non lo "potevi" lasciare, non volevi. E' sempre stato tutto un gran casino, un casino a cui, ora, non mi va di pensare, un casino che sta violentando la mia mente. Tu sapevi e non volevi ammettere, io capivo e facevo finta di nulla. Mi dico ancora "è così che andata, punto e basta". E ti giuro che non ho rimpianti, rivivrei ogni momento allo stesso modo perchè è vero che certe cose non si possono cambiare e che vanno come vanno, che si lotti o meno. E io ho lottato, sono stato paziente. No, non mi sono ancora arreso, non ho gettato la spugna. Mi sento solo ridicolo. Non è colpa tua, è una cosa mia. Tu lo sai che ho la testa dura, lo sai che sono terribilmente orgoglioso. Sono uno che non ha più tanta voglia di lottare, nemmeno per quello per cui varrebbe la pena.
Non ho mai capito cosa diavolo ti piacesse di me. Di te... di te ho sempre adorato tutto. Beh, quasi. Ho odiato quel tuo cellulare che suonava sempre nel momento sbagliato, ma io i miei momenti me li sono presi, me li sono gustati, per quanto siano stati vittorie effimere. Ogni tanto ritorni, io reagisco duro, o almeno ci provo. Poi mi addolcisco perchè non riesco a resistere troppo a lungo. Tu vinci sempre con quel tuo sguardo triste, quasi come il mio. Penso sia l'unica cosa che abbiamo in comune.
Ci siamo conosciuti per caso. Io cercavo di fare amicizie nuove in questa città "straniera". Tu facevi lo stesso. Quando ci hanno presentati, mi sembrava di conoscerti. Io faccio sempre delle gran figuracce. Come potevo conoscere una persona in una città per me nuova? Quindi sono stato zitto. E, invece, vedi il caso? Sei stata tu a riconoscermi... "ma tu non sei l'ex ragazzo di...?"... "ehm, già". E poi ho fatto finta di non ricordarmi di te e abbiamo riso. E tu sei radiosa quando ridi. Tra tutte le persone che potevo incontrare, sei capitata proprio tu che conoscevi chi non avevo alcuna voglia di ricordare, almeno in quel periodo. Questione di sfortuna?
Poi, lo sai che ti ho sempre adorata. Il tuo modo di camminare, di ridere, di muoverti, il tuo accento un po' straniero, il trovare qualcuno che sapesse da dove venivo, di quello di cui parlavo.
"BellaNapoli" l'aveva capito praticamente subito e un po' mi sfotteva. Io facevo finta di nulla.
"E' solo un'amica", "ma che cazzo dici? Ha il ragazzo", "ma no, è impressione tua". Quante volte le ho dette queste cose agli amici, a me stesso.
Ho sempre negato tutto. Ho sempre detto che era tutta una stronzata, un film che gli altri si facevano in mente e che io rifiutavo di vivere. Quello del terzo incomodo è un ruolo che non mi si addice.
Passavamo insieme il nostro tempo, uscimmo con dei nostri amici. Al mio vecchio coinquilino piacevi (mi è sempre stato un po' sul cazzo), me n'ero accorto, cercò di stare accanto a te tutta la sera. Io me ne stavo in disparte, poi eri tu a farmi ridere. E io ti osservavo, bellissima, come sempre.
Poi in aula, una volta appoggiasti la testa sulla mia spalla. E io ti accarezzavo i capelli. Il professore di diritto era di una noia mortale e non si capiva bene cosa dicesse con quella sua voce bassa e rauca. Mi voltai a guardarti, tu mi guardavi. Ci osservavamo dritti negli occhi, in uno sguardo complice di qualche istante. Diventammo rossi, ci venne un po' da ridere. La scena si è ripetuta a Piazza Farnese, sotto l'ambasciata francese, ma non eravamo soli. E chi era con noi era di troppo. Ci interruppe mentre mi perdevo nei tuoi occhi, mentre i nostri visi si avvicinavano lenti, senza sfiorarsi. E poi a ridere.
Al parco, a piazza Vittorio Emanuele, mi accarezzavi la testa, mentre ero steso sulle tue gambe e facevo battute stupide, solo per vederti ridere. Mentre camminavamo verso una panchina ti presi la mano. "Dai, è una bella giornata, siamo soli tu ed io (ce ne andammo prima dalla lezione di Sociologia), facciamo finta di essere fidanzati", e ciondolavo il braccio insieme al tuo.
Poi tu eri appena tornata dal fine settimana col tuo ragazzo. Io ero a Termini col mio ex coinquilino, quello a cui piacevi. Avevo passato tutto il giorno in facoltà. Ero stanco, ma ti aspettavo. Poi, camminammo tutti e tre insieme, verso piazza della Repubblica. Ci fermammo alla fontana e aspettammo che il tizio si sentisse abbastanza di troppo perchè ci abbandonasse. Mentre lui tornava a casa, noi percorremmo a piedi tutta via Nazionale, fino a piazza Venezia. Io volevo darti la giacca, ma tu non volevi. Avevi paura che prendessi freddo io, che avevo sotto solo una camicia, almeno così dicesti.
Parlavamo tanto io e te. Cominciammo a camminare abbracciati. Il freddo dell'autunno già inoltrato si faceva sentire, quantomeno di sera. Ce ne andammo sulle panchine davanti al Campidoglio, quelle vecchie rovine romane.
Ti stringevo. Ti facevo i massaggi sul collo perchè eri stanca. Ti sei voltata. Non c'era nessuno ad interromperci, solo noi, soltanto noi nella penombra della sera, in una città nuova, dove nessuno sapeva nulla, dove a nessuno importava niente di noi. Tutto era perfetto, solo nostro, un fatto tra me e te, un segreto. Baciarti è sempre stato indescrivibile. E' sempre stato come perdersi in te. E' più ti baciavo, più mi ubriacavo della tua essenza, del tuo profumo, della tua pelle, dei tuoi occhi, dei tuoi capelli biondi. Mi scavavo una nicchia nella tua anima, almeno ci provavo.
Poi chiamò lui, io fumavo incazzato, geloso. Presi a baciarti sul collo, tu mi mettevi un dito sulla bocca per farmi stare zitto. Quante volte avresti ripetuto quel gesto nei giorni seguenti. Quanto avrei voluto urlare.
Il resto lo sappiamo noi, solo noi. Il nostro rincorrerci, il mio non trovarti. Ogni tanto ci baciamo, di sfuggita. Poi ti perdo. Poi mi manchi. Poi... prima o poi... basta...

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Che storia O_O
da fare invidia a una telenovela :-)

durk ha detto...

Tze, ti raccontassi quella con la mia "ex" per eccellenza, mi prenderesti per un autore di Beautiful, ma anche questa non è male.

Kei-chan ha detto...

Si, ma ora non vantarti della tua vita sentimentale travagliata.
Scemo.

durk ha detto...

Era autoironia... >_<