15 gennaio, 2007

Deliri onirici e alterazioni mentali...




















Immagina la scena.

Una ragazza che scende lungo la scalinata di un grosso albergo. Una costruzione pacchiana in stile tempio greco. Grandi colonne che reggono un mondo lussuoso. Una lunga serie di scalini anche abbastanza alti. E' inverno, c'è quel non so che di Natale nell'aria. Frenesia. Sulla scala ampia e larga la gente si muove veloce o a passi lenti avvolta nei veli dei propri pensieri, rimanendo anonima. Folla in movimento, folla indifferente, spettatori inconsapevoli e senza alcuna importanza. Ombre senza nome. Comparse.
Lei scende tranquilla e non curante con passi sicuri nei suoi stivali neri, nel suo pellicciotto di pece. Lei, coi suoi occhi truccati di scuro, sicura e seria in viso. Lei che muove i suoi passi uno dopo l'altro come se non ci fosse la minima possibilità di cadere. Lei con la sua pelle pallida.
L'aria è densa, ombrata, velata... pesante. Lo sfondo giallo vivo di luci all'interno dell'imponente edificio, tinteggia il portico di oro e rossore. Maestosità luminosa e calda nel freddo fuori. Dal basso si rimane stupiti di fronte a tanto sfarzo. Piccole formiche di fronte un succulento ammasso di zucchero e vizio.
L'aria è grigia, come foschia, nebbia che scende lenta. Ancora ombre.
La ragazza scende imperiosa, sicura nel suo mondo che non vede accartocciarsi sotto i suoi piedi. Non sembra felice, sembra forte e determinata, ma non felice. Scende le scale a testa alta, senza rivolgere lo sguardo a nessuno. Ha l'aria da cacciatrice. Imbrunire, tramonto lento, più veloce del solito. Nuvole di pioggia si formano accelerate.
La ragazza è a metà della scalinata. Un'altro gradino verso il basso. Alle sue spalle tutto sembra prendere velocità. Tutto tranne che lei che risulta rallentata.
Una donna parla con un uomo. Punti neri nella scalinata immensa e candida. Bella donna. Castano chiara, magra nel suo completo scuro gonna-giacca. I lunghi capelli scendono morbidi sulle spalle. Cappotto nero, stretto in vita. L'uomo nel suo soprabito scuro e il suo cappello a cilindro. La faccia paffutta. Basso, grasso. Baffi lunghi e occhi piccoli. Sembra elegante e goffo nello stesso tempo. Parlano senza emettere suoni. Le loro bocche si muovono, ma non si ode nulla. Silenzio irreale.
La donna tiene per mano un bambino nel suo giacchettino scuro e il suo maglioncino a righe orizzontali colorate. Sembra indifeso. Intorno a lui c'è solo una scena, una scena già vista. E' un bambino solo in mezzo a tante persone e cose fatte di nulla, un nulla appariscente, ma inutile. Un bel bambino, caschetto marrone scuro, occhi grandi e tristi. Occhi bui. Le labbra piccole. Le labbra che si schiudono. Il suono è tetro.
La ragazza gli scorre accanto. Si gira, sente chiamare il proprio nome. E' atterrita. Vede quel bambino che la chiama con una voce irreale per un bambino. Sussurro stridulo e sinistro.
Lei nel suo rossetto rosso sangue. Ora si perde nell'immensità complessa e pastosa di quegli occhi infantili, ma non innocenti. Sforza un sorriso incredulo. Tutto ora è quasi fermo, sequenza di immagini rallentate, mentre i due si muovono vivi adesso, rispetto alle statue di contorno. Il bambino la invita con la mano libera ad avvicinarsi. La ragazza sale un gradino, impaurita, come se d'un tratto tutto le fosse sconosciuto, attimi lunghi.
Ora il suo capo di capelli corvini si abbassa, il viso di fronte a quello del bambino.
La voce soffocata della piccola figura. "Tu morirai perchè non hai creduto in alcun dio". Gli occhi della ragazza che si riempiono di quello stesso sguardo di nulla del bambino.
Buio.



Immagina la scena.

Me stesso. Dove diavolo sono? Perchè mi trovo qui? Perchè ho freddo? Buio. Sono nudo? Solo la parte superiore del mio corpo. Un lungo brivido lungo la schiena appoggiata sul freddo. Comincio a risentire mio ogni muscolo. Sono intorpidito. Cosa diavolo è successo? Buio. Non ricordo nulla.
Apro gli occhi. La situazione non cambia. Intorno a me silenzio cupo, niente luce.
Sono steso su qualcosa di gelido. Duro. Sembra quasi un letto d'obitorio o, peggio, una lapide. Sono morto dunque? No. I morti non sentono freddo, i morti non sentono male. E io sono tutto indolenzito. Cristo. Mi manca l'aria. Respiro affannoso. Ho paura. Questo posto ha un odore acido. Puzza di piscio ed ospedale nello stesso tempo.
Dove cristo sono? Mi guardo intorno. Muovo il cranio da sinistra a destra. Nulla. Sembra davvero un obitorio. La stanza è piccola, buia, nessuna luce. No, ecco, metto meglio a fuoco. Una piccola lucetta rossa, una piccola luce rossastra che si riflette in uno specchio.
Provo a mettermi seduto, mentre destandomi piano mi riapproprio del mio corpo, dei miei muscoli, del mio scheletro. Dove diavolo sono? Buio.
Non ho idea del perchè sono qui. E' questa la paura. Perchè diavolo sono qui?
Mi alzo in piedi. Il pavimento freddo sotto i piedi nudi. Mi tasto piano con le mani... il petto, le spalle, mi abbraccio per toccarmi la schiena. Si, ci sono tutto, pare. Ok, meglio di niente. Perchè diavolo sono qui? Rabbia e terrore.
Nessun suono. Nemmeno io faccio alcun rumore. I passi sordi sul pavimento freddo, verso quella piccola luce.
Ansia. Non pensavo fosse così lontana. No, sono io che sono lento.
Cristo! Perchè diavolo sono qui? Dove sono?
Palpitazioni che crescono.
Eccomi. Un lavandino sporco. Acre senso di nausea. Merdoso lezzo di vecchio, fetore acido. Un specchio piccolo. Respiro pesante. L'aria è fredda intorno a me. Sicuro di non essere morto? Si. Cerco di guardarmi nello specchio, ma la luce è troppo fioca. Qualcosa attira la mia attenzione. Qualcosa che cade nel lavandino qualcosa che cade da me. Che diavolo...
E' sangue. Perdo sangue. Da dove? Ripercorro ciò che ho fatto. Poi mi tasto il viso. Cristo! Dolore.
Ansia che cresce, riesco a sentire il mio cuore che batte velocissimo, lo sento in gola, che pulsa nel petto. Deglutisco. Mi avvicino di più allo specchio, le pupille dilatate negli occhi pieni di rabbia, paura, orrore.
La mia mano si scosta dal viso, la mia guancia destra che perde sangue, la mano insanguinata. Un lungo taglio orizzontale. Mi tocco ancora la guancia. Altro sangue, che ora esce come un flusso continuo, verso il basso, mentre le mie labbra s'impastano del mio stesso denso fluido rosso. Odore di sangue, odore di morte. Odore di ferro. Emoglobina. Qualcosa in quel taglio. Qualcosa sotto la mia pelle. Cristo. Che diavolo è? Non riesco nemmeno a piangere. Mi avvicino allo specchio, cerco di vedere sotto la lucetta rossastra. Sto aprendo quel taglio preciso da bisturi, sto scavando dentro la mia pelle. Ecco, c'è davvero qualcosa dentro questa fottuta ferita. Cristo! Ho paura, adesso sto piangendo. Lacrime di dolore, rabbia, terrore, ribrezzo.
Angoscia, panico. No, devo stare calmo. Alzo un lembo di pelle, riesco a prendere qualcosa. L'altra mano stringe forte il bordo del lavabo di ceramica sporca. Cristo.
Tiro fuori ciò che trovo nella mia ferita. Foglie lunghe, morte. Foglie secche, dure, che si rompono adesso tra le mie dita con suoni di ossa rotte, scricchiolio assordante nel silenzio. Foglie a punta di lancia. Sembrano foglie secche d'alloro. Le guardo, gli occhi che quasi escono dalle orbite.
URLO.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

...Che sogni...

Lo spam invece è un incubo...

Anonimo ha detto...

il pellicciotto color pece mi ricorda qualcosa....

durk ha detto...

Non cominciare con le manie di protagonismo... ihihih...

Anonimo ha detto...

io? manie di protagonismo? quando mai????

Kei-chan ha detto...

...
no comment...
XDD

Anonimo ha detto...

idem con KEI-CHAN....

durk ha detto...

anonimi del cazzo...