
Ora sigaretta e poi scrivo...
Quando esci da certi posti e ti ritrovi in strada, hai sempre una sensazione strana. Oggi ho accompagnato un mio amico allo Sheraton, albergone quattro stelle (forse più?), stile super lusso, tanto per intendersi (giusto per chi non lo conosce).
L'emozione di disagio comincia quando entri. Tu: ragazzo incasinato, con la tua felpa con un grosso teschio stampato sopra, che puzzi di canna fumata due minuti prima col tuo amico vestito un po' meglio di te (ma che sembra sempre il secondo coglione nel posto sbagliato. NB: il primo sei tu!), giacca in velluto sformata a coste, jeans strappato che porti addosso da tre giorni perchè è l'unica cosa che ti è rimasta pulita (e pulita si fa per dire), le ALL STARS bucate e stinte (perchè non si dica che non le lavi) che porti da ore, mentre i piedi cominciano a farti anche male, con la barba lunga dato che non hai avuto voglia/tempo di rasarti negli ultimi giorni (quanti? Cinque? Sei? Una settimana?).
Il disagio continua mentre la tipa della Hall sta lì che maneggia con la carta d'identità sgualcita del tuo amico e lo cerca nel pc. In realtà l'ha già trovato da un paio di minuti, ma fa più figo far aspettare un po' le persone, serve a dare l'idea di rispetto snob che si respira tutt'intorno.
Il disagio continua mentre tu stai in disparte e guardi la valigia, con meno circospezione però, perchè lì non la frega nessuno, di sicuro non mister ricco portafogli in abito scuro (con tanto di cravattino nero) che ti passa accanto dolcemente accompagnato da miss culo perfetto (vedi anche tette rifatte e labbra al silicone) avvolto in abito da sera.
La temperatura nell'albergo è minimo sui 25° C, il che è perfettamente inutile, visto che bastarebbe il pensiero di quanto possa costare una notte solo nello sgabuzzino delle scope per far sudare. E poi, cristo, qui c'è gente ricca, il buco dell'ozono e l'inquinamento non sono problemi loro. Che cazzo, qui c'è gente che rimane bella per sempre grazie alla chirurgia plastica, qui c'è il paradiso del denaro, la democrazia governata dallo spreco, qui tutto ha un prezzo, qui nessuno ti guarda dall'alto in basso per il semplice fatto che qui nessuno ti guarda... a meno che non sappia che il tuo portafogli sia più gonfio del suo e con almeno un paio di VISA in più.
Su, rilassati, coglione. Non ti serve sentirti a disagio, tanto nel giro di mezzora sarai fuori da qui dentro, avrai riattraversato la porta automatica a vetri e i due pinguini che guardano l'ingresso ti augureranno comunque buona serata... non perchè a loro interessi, solo perchè li pagano. La cosa strana, per loro, sarà quando tu gli augurerai lo stesso e forse solo il fatto che tu rivolga loro la parola. E questo succederà per quel senso di disagio e la buona educazione che ti hanno insegnato i tuoi. La buona educazione non è abbastanza snob (ndr).
Poi la mente parte con pensieri in perfetto stile Cenerentola (vedi anche Pretty Woman e cazzate del genere), ovviamente al maschile. Cominci a immaginare miss belle tettine della hall, che invece di stare a gingillare con mouse e documenti d'identità, ha in bocca il tuo cazzo mentre ti augura dolcemente una buona serata. Che dolce scenetta.
Poi tu le auguri altrettanto mentre abbozzi un sorriso sospeso tra la malizia, un falso "mi scusi" e corrotta cortesia. Il tuo amico ha fatto un pensiero abbastanza simile.
E andate all'ascensore. E tu sei lì che lo accompagni in una di quelle stanze tutte uguali del terzo piano (ndr, lui è lì per lavoro e, tra l'altro, un lavoro da due soldi, giusto per alzare un po' qualche euro). Eppure anche quel lusso di basso rango ti fa sentire un po' VIP. Ti guardi intorno, giochi come un bambino che gioca a fare il nobile; giochi col tuo amico che fa il tuo stesso gioco.
Poi si fa tardi, ti ricordi che la metro chiude, che domani dovrai sbrigare un po' di cose, avrai da fare, che il tuo amico deve scendere a cena, che sei abbastanza fuori luogo, che sei stanco e avresti voglia di startene a casa tua che si trova dall'altra parte della città e che ci metti un bel po' ad arrivarci con i mezzi. Muoviti.
Scendi giù, ti fermi davanti l'albergo a fumare una sigaretta, seduto su sedie comode e imbottite. Respiri l'aria fredda esterna, l'aria che ancora resta lussosa e pesante tutto intorno, la sigaretta e l'aria di vita normale, in cui, malgrado tutto, hai una gran voglia di rituffarti.
Ed eccoti accontentato.
Niente auto lussuosa. Aspetti il treno della metro. La radio trasmette una di quelle canzoncine stile anni '30 o '40 (che cazzo ne sai tu, manco eri nato?), uno di quei pezzi che ti fanno pensare all'inverno quando è inverno e all'estate nella bella stagione, una di quelle canzoni da caminetto e luce tenue o da tramonto romantico e palme tropicali, un ritmo jazz tranquillo, che ti viene a paranoia se ascoltato tra le pareti grige e puzzolenti di una fermata grigia di metrò. Ti sei seduto proprio lì, sulle seggiole di plastica rovinata della banchina. Ti sei seduto in mezzo a 3 facce anonime che non si sono sedute al tuo posto (come qualche altra anima in pena che gironzola lungo il binario... manco meditasse di buttarsi sotto un treno...). Non ci si sono sedute perchè immediatamente di fronte a quel posto c'è una piccola pozzanghera d'acqua, formatasi dal gocciolare di acqua fetida... che potrebbe tranquillamente essere di fogna, magari piscio. E tu, invece, stanco, speri solo che sia la pioggia accidentale di qualche ora prima. E lentamente scivoli su quel sedile scomodo di plastica dura che non è per nulla anatomico come vorrebbero farti sperare, stando bene attento a non dover badare troppo alle gocce che cadono dall'alto. Ti tieni a distanza. E nel mentre ritorni ad affondare nella pozzanghera della della tua vita.
E intanto cominci a perderti con la mente, cominci a vagare nei tuoi pensieri.
Poi arrivano i vagoni marchiati col fuoco dei graffiti colorati.
Dentro c'è una di quelle studentesse tutta acqua e sapone, carina direi. Sta leggendo i suoi fogli d'appunti. Alza lo sguardo nel vagone semideserto, tu sei lì, seduto su uno di quei seggiolini scomodi uguali a quelli della banchina. Poi alza lo sguardo e ti scruta, fondamentalmente perchè, se ci pensi bene, sei l'unico italiano nel vagone e probabilmente l'aiuti a sentirsi a casa. Poi vede il tuo sguardo assonato e stanco un po' da tossico. Tu ti riprendi un po'. E invece di pensare: "potrei conoscerla", pensi: "ma che cazzo vuole questa?". E le fai lo sguardo da snob un po' scocciato e la cosa finisce lì, col suo vaffanculo mentale, che però ti arriva.
Poi ti metti a guardare un punto fisso sul pavimento mentre cominicia a venirti fame, che si mischia alla nausea che ti provoca l'odore di piscio/chiuso/aglio/sporco/sudore che si respira nella metro (e almeno non c'è tanta gente). Se poi aggiungi che l'autista del treno guida da cani e che odi sentire i freni stridere ad ogni fermata, le palle girano tranquillamente da sole. E sale un po' la paranoia. Un paio di cinesi (o che cazzo sono loro, a me sembrano tutti uguali) parlano ad alta voce. Ci bado poco.
Poi esco dalla metro (le scale mobili bloccate... che bello! Tanto un po' di misero moto non può che farmi bene. E si sale, gradino sopra gradino. Aria fresca, non pura, solo fresca. Per tutte le scale ho avuto paura che l'enorme grassone davanti a me mi rotolasse addosso. Sudi per due scale? Anche io, ma non faccio tutto questo casino e non mi lamento. Lui sarà ubriaco.
La stazione è piena di barboni (che muoiono come mosche nel freddo notturno), pusher, trans, puttane, qualche ragazzino che cresce troppo in fretta in mezzo alla strada, qualche figlio di puttana, un po' di gente che non vede l'ora di rinchiudersi nella sua tana, magari fare un bagno caldo e andare a dormire, un po' di gente "normale", gente che lavora. Tutte persone, che a modo loro, vivono.
L'autobus è lento mentre corre verso casa. Ho sonno, un po' di fame chimica e un gran bisogno di pisciare (causa freddo?).
Finalemente nella mia stanza. Caldo, abitudine, un buon letto. Casa dolce casa. Per quanto non sia lussuosa, per quanto non abbia la moquette di lusso e non sia pulita e disinfettata in stile ospedale (ovviamente sono sarcastico, dato la merda che si vede negli ospedali), per quanto non sia enorme e non abbia i tripli vetri per non sentire il traffico fuori, mi piace per come è. Mi piace perchè la sento mia, perchè non mi sento a disagio.
... Ora sigaretta e poi scrivo.